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#restandoacasacambiailpostoatavola ovvero apologia del nuovo Re o Tiranno nelle “nuove” famiglie “patriarcali”

Il “posto a tavola” è stato da sempre un must del bon ton! Le famiglie di alto lignaggio, quando facevano le cene formali, dovevano distanziare i coniugi ai due capotavola e alternare donne e uomini, a parte la loro carica istituzionale, secondo una condizione di compatibilità o addirittura, se si trattava di ospiti economici, politici e maritali secondo un ben prefissato “codice”, dove le sorti delle conversazioni, potevano modificare “il corso delle loro vite” e anche delle nostre, da comuni mortali. Cioè potevano creare Re illuminati o Tiranni frustrati. Che poi magari, si comportavano da nevrotici o psicopatici.

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Ma vediamo come queste antiche usanze si riflettono sull’oggi che stiamo vivendo dove la “vicinanza” ci ha moltiplicato pranzi e cene di “famiglia”: che cosa sta succedendo? Arrivano numerose richieste che non riguardano disagi apparentemente “gravi” ma soltanto dissonanze e poi inevitabilmente ricordi di “vecchi” schemi familiari: le cosiddette regole delle “famiglie patriarcali”! Alle 13.00 tutti seduti e con le mani lavate, vestiti a puntino e senza gomiti sul tavolo, per il pranzo, e alle 8.00 di sera, per la cena. E, diremmo oggi, soprattutto senza smartphone che possono fuorviare le comunicazioni del “buon padre di famiglia”. Nell’antichità il padre non diceva nulla. Al massimo il “buon” padre poteva chiedere com’era andata la giornata cominciando dal figlio più grande: il “cattivo” padre grufolava sulla sua pietanza aspettando di essere servito per primo e basta! Se la famiglia era abbiente, aveva una “creata” che gli portava le pietanze, ma doveva essere cameriera: la sguattera lavorava e mangiava sola in cucina. Da un mio antico zio, la creata non serviva a tavola e mangiava da sola in cucina. La zia serviva a tavola a faceva pure da cuoca: si sedeva per ultima e mangiava quello che rimaneva dopo aver servito tutti i convitati. Qualche volta avevamo provato a cambiare i nostri posti di nipoti femmine con le cugine ma la sostanza era sempre la stessa: il posto di mio zio, era intoccabile. Così pure l’impossibilità di far sedere la serva a tavola! Io venivo, da un’altra famiglia, dal piano di sopra, dalle “grinfie” di mia nonna, donna libera e spartana: pensate che a cena ognuno mangiava quando voleva, quello che voleva, e soprattutto se ben equipaggiati, “cioè senza macchiare e fare molliche”, dove si voleva! Ma nella formalità di pranzi e cene a tavola e a buffet, mia nonna era ineccepibile! Ma tornando allo zio e alla dinamica della sua famiglia, che io non capivo ma mi adattavo, le volte che scendevo piena di idee “anarchiche” secondo loro, mi sentivo dire: si fa così e basta! Chi non era presente all’orario in cui lui pranzava o cenava, sicuramente non mangiava più in tavola ma era “degno” di stare a mangiare in cucina. Con la serva.

Ricordi antichi ma sempre presenti nelle tradizioni di famiglia dove chi “sgarrava non mangiava”: oggi sarebbe interessante sapere cosa succede nelle “famiglie allargate e senza bon ton” e soprattutto senza smartphone che possono fuorviare le comunicazioni del “buon padre di famiglia”, che ha provvisoriamente nascosto il suo smartphone. Ma voi direte: “abbiamo la televisione da oltre 40 anni che presiede alle mangiate di famiglia!” Anche questo purtroppo è vero, ma la famiglia, che è un’entità e ha un suo perché. Ma dopo anni di abitudinari sottofondi estranei di “schermi parlanti”,  la famiglia come “entità”, comincia a ribellarsi e per colpa della convivenza “forzosa” ne vuole parlare, della famiglia. Ma prima dobbiamo dare una spiegazione al titolo #restandoacasacambiailpostoatavola ovvero il cambiamento del posto a tavola. Ci sono famiglie in cui marito e moglie e poi padre e madre, hanno avuto quasi sempre comunicazioni di servizio. Il tavolo da pranzo era un momento in cui ci si riuniva e uscivano fuori le eventuali magagne o piccole felicità… Una mia paziente si è ricordata che si cenava alle 8.00 e chi arrivava dopo non mangiava e questa usanza l’ha riportata nella sua attuale famiglia, ora più che mai, ma osserva un grande rispetto lasciando liberi i figli su quello che possono fare dopo cena. Visto che, tra l’altro, non possono uscire. “Ti dirò una cosa: da un lato che non possono uscire, per certi versi, mi fa stare meglio. A casa mia non era così. Mio padre sedeva sempre nello stesso posto e guai a chi occupava la sua sedia preferita! E poi figurarci uscire dopo cena, era impensabile!”

Analizziamo brevemente il costrutto psicologico della “famiglia” che siede intorno ad un tavolo da pranzo. Nelle famiglie ben “differenziate” i “posti” o i ruoli delle persone sono flessibili. Il padre non deve sedere a capotavola per sapere che è il padre. Il suo sé non si definisce semplicemente nella relazione con i componenti della famiglia. Potrà sedere dovunque a tavola, sapere ancora chi è e qual è il suo ruolo all’interno della famiglia. La paziente di cui sopra, nel momento dell’insight, della rivelazione, singhiozzando, si ricorda che nei suoi pranzi familiari, odiava particolarmente il padre, che aveva la sua sedia “speciale”. Una volta il fratello di lei si era seduto sulla sedia “speciale” e il padre gli aveva dato uno schiaffo per la sua mancanza di rispetto. Se l’identità di ruolo è principalmente dipendente dalla relazione familiare, non si faciliterà lo sviluppo di coloro che si ama. Ovvero se il padre della paziente, si riconosceva padre solo e soltanto per il sedersi nella sua sedia preferita, magari autodefinito “il trono del re di casa”, avrà avuto necessità di sudditi per sentirsi tale. Ci sarà stata una leggenda di famiglia tale da tramandarlo, spesso la madre del padre: la regalità è l’altra faccia della moneta della tirannia. La differenza tra autorevolezza e autorità. Il padre della paziente non era un Re di per sé stesso; la maestà gli veniva attribuita perché riusciva ad intimorire e soggiogare gli altri per un ruolo che non si era auto-attribuito ma che gli era stato “attribuito” e per continuarlo a realizzare aveva bisogno di un clima di tirannia. Semplicemente non avendo un grado reale di differenziazione all’interno della famiglia, non poteva cambiarlo. Non essendoci un grado di differenziazione reale questo cliché accadeva ad ogni membro della famiglia. Non meravigliamoci.

A tavola, più di ogni altro contesto, dovrebbero essere favoriti lo scambio e il confronto affettivo e intellettuale; i pasti, preparati con cura e amore, contribuiscono a creare un’atmosfera di calore e benessere. Il momento del pasto è un importante indice dello stato di salute psico-emotivo del nucleo familiare, un vero e proprio specchio dei rapporti fra i vari membri, focalizzando l’attenzione di come essi si dispongono a tavola e di come interagiscono fra di loro. Usiamo questa nuova opportunità “Restando a casa cambia il posto a tavola” per capire se quello che succede è sinonimo di rinnovamento verso la comprensione di una “nuova” famiglia, e perché no? Anche di stimolarci verso una nuova famiglia anche “patriarcale”, dove i ruoli possano assurgere a “guida” di giovani vite e non di imposizioni tramandate dai posti “assunti” e inderogabilmente assegnati in famiglia, restando a casa in tavola.

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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