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Nerello mascalese: “Quando il vino si faceva nella vigna”

“Inebriante” serata organizzata dalla FIS di Sicilia e Calabria alla 41° edizione Vinimilo

Le buone degustazioni del vino sono come i profumi devono avere le note di testa, le note di cuore, le note di fondo. Quelle di testa, sono di debole persistenza, come gli agrumi o le piante aromatiche. Quelle di cuore che vanno a creare la parte più centrale di una fragranza, sono di persistenza media, come i fiori e la frutta. Quelle di fondo che vanno a creare la parte più profonda di una fragranza, sono di grande persistenza, come i legni e i muschi e pure minerali, come la pietra mica dorata. Enza La Fauci docet: io non ci credevo ma il suo vino Vignadorata sapeva di pietra e di pietra bianca…io che sono di pietra nera ho sentito la differenza…

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Ebbene i vini della serata del 12 settembre per la 41° edizione Vinimilo, questi ingredienti ce li avevano tutti. Ottoventi di Sara Mazzara nella compostezza della forma e struttura di un vino maturo ed elegante, ottimo con secondi piatti speziati sia di carne che di pesce; i fratelli Di Giovanna con due vini robusti nella loro gradazione, importanti, fioriti, tra risotti e tortelli, con le loro prelibatezze designate; Elios con “glou glou” nel loro aperitivo “rinforzato” tra sfoglie all’acciuga e pizzettine con la Tuma, una sorta di formaggio pecorino “fresco”. Se volete approfondire la descrizione dei gusti, profumi e colori e la storia dei nostri vignaioli e vignaiole potete andare sulle Culture.it al link.https://www.leculture.it/sua-maesta-il-nerello-mascalese/

Ma torniamo alla serata. Grazie alla presenza della vicepresidente Fondazione Italiana Sommelier della Sicilia, Agata Arancio, e del presidente della FIS Calabria, Gennaro Convertini, ci siamo addentrati nella la storia del vitigno del Nerello Mascalese.

Il Nerello Mascalese è un vitigno a bacca rossa, re dell’Etna, il mitico vulcano siciliano che è la sua terra di origine. Cosa ha di particolare? Finezza ed eleganza: è un vino leggiadro, salato, minerale, dalla media acidità, ma con tannini setosi e spiccati toni balsamici e di macchia mediterranea. Il suo frutto, a base di frutti di bosco e di ciliegia, ha un sentore erbaceo, speziato e di fiori, esaltato dai suoli minerali, ricchi di ossidiana, con le vigne che arrivano fino anche a 1000 metri di altitudine.

Orbene vero è che la patria è la città di Mascali vicino Catania, ma quello che succede oggi è che il vitigno, è riuscito in luoghi diversi ed eterogenei, ad esprimere nuovi ed entusiasmanti di saperi e sapori. È stato esportato, innestato, rispettato nella sua forma e qualità da alberello antico, parliamo del rinascimento, e ancora attualmente  è rappresentato da:  la sensualità, la carnalità, la lussuria di un Don Giovanni in Sicilia di brancatiana memoria.

Infatti ci racconta Agata Arancio che il progetto è stato voluto sia per comprendere l’origine, la sua interpretazione al massimo livello, la scelta e la storicità di questo vitigno in altri territori e caratteristiche territoriali. Il racconto umano dei singoli produttori è stato fatto viaggiando virtualmente dalla Sicilia Occidentale: Alcamo, Valderice e Sambuca di Sicilia e naturalmente nella Sicilia Orientale nel versante dell’Etna. Il Nerello è presente in Calabria con Antonella Lombardo che ha recuperato vitigni autoctoni da portare in bottiglia, con la valorizzazione del territorio per non disperdere le tracce della cultura del vino che i greci hanno portato da noi rivisitandolo in chiave moderna come il suo rosato da Nerello Mascalese in purezza. Altra azienda presente storicamente parlando è Margherita Platania del Feudo Cavaliere nel Parco dell’Etna mantenuta fin dal 1880 quando era proprietà dei Benedettini dove il vino viene vinificato nel palmento dell’epoca a Millemetri di altezza da cui il nome del bianco, rosato e rosso. Intervento storico sul modo di fare il vino da parte di Salvo Foti dell’azienda I Vigneri sui palmenti dell’Etna dove si possono ancora vedere delle costruzioni antiche diroccate e distrutte residenti lì, dalla fine dell’ottocento e all’inizio del novecento: all’epoca si producevano più di cento milioni di litri di vino, la stessa quantità che oggi si produce in tutta la Sicilia. Gli antichi palmenti sfruttavano la legge di gravità possibile sull’Etna, anche perché qui era impossibile scavare quindi bisognava utilizzare i solchi e le strutture create dalle colate laviche.

Gennaro Convertini aggiunge: “La bellissima esperienza di questa serata, assaggiare la biodiversità del Nerello Mascalese coltivato in vari territori e diverse altitudini. Parlare dei palmenti storici antichi siciliani, non scavati nella roccia a causa della lava. Quelli della locride in Calabria dove la roccia morbida ha permesso la costruzione di almeno 700 palmenti nei comuni di origine greca, bizantina e romana, dove la viticoltura esisteva da tempi antichissimi e “il vino si faceva nella vigna”. Alla qualità dei vini di oggi chiediamo di non far fare troppa distanza alle uve dopo la vendemmia. L’uva veniva vinificata nel vigneto e la cultura del vino nei nostri territori sono dei precursori della cultura europea.

Nella locandina il riepilogo dei vini presenti nella serata e subito dopo le interviste

 

 

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