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I criteri di assegnazione della casa familiare nelle crisi familiari

Con Sentenza n. 11096/2022 la Corte di Legittimità a Sezioni Unite è intervenuta per precisare e disciplinare le sorti della dimora familiare nelle situazioni di crisi familiare.
L’abitazione familiare rappresenta infatti il centro di interessi, affetti, abitudini e ricordi e l’attribuzione della medesima all’uno o all’altro genitore, incide  non solo su aspetti strettamente patrimoniali della coppia in crisi, ma anche – e spesso preminentemente- su aspetti personali.
Il legislatore però ha inteso scardinare e rendere avulsa dalla lite personale della coppia il godimento del predetto bene  e spostarne le ragioni di assegnazione tramite altro focus argomentativo, vale a dire la tutela della prole.

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L’assegnazione della casa familiare infatti nel nostro ordinamento è oggi disciplinata dall’art. 337sexies del codice civile e la Riforma Cartabia – che tanto ha mutato l’assetto del diritto di famiglia e delle procedure connesse alle relazioni familiari – non ha inciso sulla norma che prosegue nell’affermare che il godimento della dimora familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse della prole.

La norma in questione è stata introdotta nel nostro ordinamento nel 2013 attraverso il Decreto Legislativo n. 154 che è intervenuto riorganizzando e modernizzando la materia della “responsabilità genitoriale”, ma nei principi più profondi l’intervento non si discosta molto dall’abrogato art. 155 quarter del codice civile.

 

La lettura della norma e la sua collocazione sistemica nel codice consentono senza dubbio di annoverare l’assegnazione della casa familiare tra le decisioni assunte in tutela ed interesse della prole, da preservarsi sempre e prioritariamente anche nelle crisi familiari; alla prole è assicurata la conservazione delle proprie abitudini, centro di interessi e comodità connesse all’ambiente nella quale è cresciuta in costanza di rapporto familiare, al fine di preservare la stessa da qualsivoglia ulteriore trauma psico-fisico che potrebbe derivare – dopo la crisi personale della coppia genitoriale – dallo sradicamento familiare. Di talché, sebbene l’assegnazione della casa familiare avviene in favore di uno dei genitori, essa è strettamente connessa all’interesse della prole ed in funzione di questi subisce evoluzioni nel tempo.

Sul punto basti richiamare la sentenza n. 11297/1995 della Corte di Legittimità a Sezioni Unite.

Ne consegue che ad determinare le decisioni giudiziali in ordine all’assegnazione della casa familiare è la presenza di prole convivente, minorenne o maggiorenne se ancora non economicamente autonoma ed autosufficiente, o portatrice di handicap grave.

 

Va precisato però che si è pure assistito a qualche eccezione a questa regola generale trovando – in ipotesi ancorché rare, peculiari ed eccezionali – accoglimento la domanda di assegnazione anche da parte del solo coniuge non autosufficiente o in presenza di figlio maggiorenne e già autonomo ricorrendo ipotesi, si ribadisce, di peculiare importanza che possono indurre il Decidente, a tutela della parte comunque più debole, a trovare soluzioni di senso differente da quanto sin qui disciplinato. Questo orientamento però dal 2007 resta estremamente dibattuto e contrastato (vedi Corte di Cassazione Civile 6979/2007).

Resta dunque preponderante la disciplina generale che vede disconoscere ipotesi di assegnazione  in presenza di figli maggiorenni e già autodeterminati anche se ancora conviventi con il coniuge assegnatario, o ancora che negano la possibilità di assegnazione al solo coniuge economicamente debole, anche se operata in sostituzione o alternativa al mantenimento. Sul punto, tranciante la Cassazione Civile n. 25604/2018 e n. 3015/2018, sentenze emesse in un anno di grandi stravolgimenti di pregressi orientamenti giurisprudenziali accreditati, definito l‘anno nero della tutela coniugale.

Il concetto è poi assai di recente stato ribadito anche dalla sentenza n. 2670/2023 della Corte di Cassazione che richiama espressamente la presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti ovvero portatori di handicap grave, come requisito essenziale per procedersi all’assegnazione, a cui si associa quello ulteriore della stabile convivenza con il genitore assegnatario, affermando come in ipotesi di interruzione della predetta convivenza, venendo meno il senso dell’assegnazione stessa, il genitore assegnatario perda il superiore beneficio potendosi ben revocare l’assegnazione con richiesta di modifica delle condizioni pattuite tra i coniugi: da ultimo, in tale senso, assistiamo ad un filone giurisprudenziale che  ha trovato significative pronunce nel 2007 e 2008 (ex multis, Cass. Civile n. 3934/2008, n. 16398/2007, n. 6979/2007).

 

Altro punto dolente è stato assistere al mutamento del concetto di stabile convivenza del figlio maggiorenne con il genitore assegnatario, avendo nel tempo assistito a disconoscimento della legittima assegnazione ove il figlio maggiorenne, ancorché non autosufficiente economicamente, utilizzava la dimora familiare non già come stabile luogo di vita, ma con animo di saltuaria ospitalità, assistendosi con la sentenza n. 27374/2022 all’affermazione di principio operata dalla  Corte di Legittimità della correttezza del provvedimento che revocava l’assegnazione in tal caso. Ma sul punto si è nuovamente dovuti intervenire cogliendo una realtà sociale sempre più diffusa allorché, in presenza di figli maggiorenni ma non autosufficienti ed impegnati in studi universitari presso altre città differenti da quella di origine, si è ritenuto sussistere – in aderenza al mutamento sociale e culturale – ad un’inevitabile deroga del principio generale, dovendo considerare l’allontanamento per i predetti studi in alcun modo inficiante il concetto di centro di interessi, ricordi e radici rappresentato dalla casa familiare,  permanendo un legame stabile ancorché a distanza e senza quotidianità, assistendosi comunque a numerosi “ritorni” presso detta dimora da parte del figlio in relazione ai ritmi di studio (sul punto, assai emozionanti le sentenze n. 11844/2019 e 25604/2018 Cassazione Civile.

Ciò nonostante, ad oggi si assiste ad un incentivarsi, nell’autonomia negoziale tra coniugi, di soluzioni di senso differente anche contemplando cessioni di proprietà differenti da quella familiare in luogo di quest’ultima, e trasferimenti volti a stabilizzare la situazione patrimoniale delle parti e della prole su largo tempo.

 

Non può poi tacersi che l’applicazione della norma citata è oggi estesa a qualsivoglia tipo di rapporto genitori/figli, indipendentemente se la coppia genitoriale è legata o meno da vincolo coniugale, e dunque senza differenza alcuna nella tutela dell’habitat familiare in capo a figli nati fuori o nel matrimonio. Ciò ha scardinato quella terribile discriminazione operata dall’art. 155 c.c. che in tema di provvedimenti riguardo ai figli in ipotesi di separazione dei coniugi nulla diceva in ordine ai figli nati fuori dal matrimonio: la norma, percepita appunto come fonte di discriminazione, richiese persino l’intervento della Corte Costituzionale che però con sentenza n. 166/1998  ritenne non sussistere violazione considerando la tutela della prole immanente  nell’ordinamento tutto, chiamato a piegarsi ad un’interpretazione sistematica e sistemica delle norme e non soggetta ad individuale interpretazione avulsa dalla generale allocazione nel codice. Ciò nonostante, con la legge 219/2012 che si è occupata della riforma in tema di filiazione, attuata con il D. Lgs. n. 154/2013, la norma proprio per meglio rispondere allo spirito richiamato dalla Corte Costituzionale, fu spostata all’interno del codice ed oggi trova allocazione nel titolo IX del primo libro del Codice Civile relativo alla responsabilità dei genitori e dei doveri dei figli, con ciò discendendone già nella sua collocazione sistemica l’applicabilità indistinta a qualsivoglia tipologia di rapporto genitori/figli dove viene richiamata più volte una lunga elencazione di ipotesi così riassunte: in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio.

 

 

Chiude questa riflessione lo storico dibattito sulla natura del diritto di assegnazione che con sentenza n. 8361/2011, condivisa dalle successive pronunce ed oggi da ultimo nuovamente accreditata post Riforma Cartabia, la Corte di Cassazione ha definito un diritto di godimento tipico del diritto di famiglia, e non un diritto reale, neppure assimilabile al diritto di abitazione ex art. 1022 c.c., ma un diritto che insorge con il rapporto familiare in sé, che in esso trova origine, ragione ed evoluzione e cui scopo è determinare quale dei due genitori è chiamato nell’interesse dei figli a proseguire a governare, disporre, preservare e mantenere l’habitat familiare. Ed infatti, la casa oggetto del provvedimento di assegnazione può essere solo quella familiare (non altre case, quelle di villeggiatura o dimora occasionale) e non ha relazione con il titolo sottostante (proprietà esclusiva, comproprietà, oggetto di comodato, locazione).

Avv. Cettina Marcellino

 

 

 

 

 

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Cettina Marcellino
Cettina Marcellino
"Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell'assistito [...]"
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