La dichiarazione di Matteo Salvini è chiara: “Dobbiamo mettere mano alla riforma della scuola e dell’università, affrontando la questione del valore legale del titolo di studio”. La laurea, insomma, non sarebbe – o non dovrebbe essere – un requisito fondamentale per accedere a concorsi pubblici e per fare carriera. Il motivo, spiegava il ministro dell’Interno alla scuola politica della Lega a Milano, sarebbe che “negli ultimi anni la scuola e l’università sono stati serbatoi elettorali e sindacali: ecco perché l’abolizione del valore legale del titolo di studio è una questione da affrontare”. A rispondergli, con una frenata, è però il ministro dell’Istruzione, università e ricerca Marco Bussetti. Che, a margine di un convegno a Milano, riflette: “E’ un tema di cui si dibatte da tanti anni, ma in questo momento non è in programma, non è detto che poi possa essere analizzato in futuro”.Valore legale della laurea che cos’è e perché Salvini propone la riforma
Con l’attuale sistema un laureato, uscito col massimo dei voti da un corso di studio non altamente selettivo, ha più possibilità di vincere un concorso pubblico rispetto a un collega che – passato attraverso un percorso di studio ad alta selettività – ha ottenuto un voto di laurea inferiore. La riforma vorrebbe disinnescare l’appiattimento meritocratico premiando i laureati in base all’università di provenienza grazie ad un ranking degli istituti. Punto focale diventa allora la concorrenza che gli atenei sarebbero costretti a farsi fra loro, migliorandosi e investendo soprattutto in risorse umane. Compito dello Stato dovrebbe essere dunque quello di stilare una graduatoria delle università migliori in modo che quando proprio e soprattutto lo Stato ha bisogno di personale per le sue amministrazioni, possa attingere, non sulla base del voto conseguito, che finora ha messo sullo stesso piano tutti i candidati con i rispettivi atenei, ma in relazione alla università di provenienza.