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“68 punto e basta” e i quattro cardini della società catanese

Un volo pindarico quello di Nicola Alberto Orofino, regista di 68 punto e basta(vedi), nella città di Catania durante gli anni sessantottini in uno spettacolo spumeggiante, a tratti provocatorio, in fondo sentimentalmente legato al ricordo della memoria. In un’Italia segnata dai continui dissapori all’interno delle sinistre che pullulavano rumoreggianti, si dividono anche gli attori, nello spettacolo, in quattro macro aree tematiche: politica, università, lavoro e società-cultura. Tutti e quattro i percorsi sono in effetti fittamente collegati all’insegna di un cambiamento epocale nel quale si svolgeva la V legislatura italiana padroneggiata dalla Democrazia cristiana nell’incalzare galoppante del Partito comunista e un Presidente della Repubblica social-democratico: Giuseppe Saragat. Si fa notare che in questi anni emergono i nuovi movimenti rivoluzionari come Potere Operaio, Lotta Continua e i primi nuclei del terrorismo di estrema destra. Sullo sfondo, nello spettacolo si legge un fitto avvicendarsi nella frammentazione politica, col fermento della lotta popolare che porterà all’autunno caldo del 1969 e la formazione dei primi contratti nazionali del lavoro. Le elezioni del 1968 videro la riconferma della Democrazia Cristiana, in lieve crescita, e dell’alleanza del centro-sinistra che mantenne la maggioranza seppur ridimensionandosi. La fusione tra Partito Socialista Italiano e Partito Socialista Democratico Italiano non ottenne il successo desiderato, mentre Unità Proletaria alleandosi con il Partito Comunista Italiano diede una forte spinta all’opposizione di sinistra. Il Movimento Sociale subisce un calo di consensi e rimonta in sella Almirante, così come la componente liberale e il declino ormai inarrestabile dei monarchici. Sullo sfondo di una Catania apparentemente in crescita, ma di fatto in fase di stallo, si intravede uno spiraglio minuscolo verso il maggio francese che coinvolgerà in effetti l’Italia, ma non la Sicilia, non Catania.

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Ma Catania vede la rivoluzione in lontananza, sullo sfondo, mai di petto, mai col cuore, semmai con l’anima, quell’anima che si è venduta al diavolo. Catania, una città nera, sullo sfondo la Signora Etna che alita sul mare che non soffia vento, c’è caldo e fetore, la rivoluzione sessuale da una parte che non parte e l’intervento dello Stato in economia, attraverso la creazione di enti gestiti e finanziati direttamente dal ministero delle Partecipazioni Statali, che crea corruzione e clientelismo.

Un esempio eclatante di queste dinamiche fu quello della Cassa per il Mezzogiorno, che fallì in gran parte i propri obiettivi. Nasce a Catania l’affaire San Berillo, dopo la costruzione del Corso Sicilia degli anni ’50. Per tutte le aree libere del Corso Martiri della Libertà, senza comprendere San Berillo vecchio, il piano Istica prevedeva una somma di 10 miliardi e 338 milioni di lire e un ricavo di 7 miliardi e 338 milioni di lire. Ma si legge sullo sfondo del lavoro “Orofiniano” una drammaturgia visionaria satura di speranza. Non ci sono più, oggi, le hostess Alitalia con la solita mise verde e il cappotto al seguito di ugual colore; non c’è più Pier Paolo Pasolini con le sue poesie e il suo “Vangelo secondo Matteo”; non ci sono più gli stessi movimenti che inneggiano alla rivoluzione, sia essa sessuale che politica; non c’è più la stessa Università e la sua giurisprudenziale avanzata. Non c’è più la stessa Catania che è stata anche, quella Catania. E i giovani lo devono sapere e gli adulti lo devono ricordare…

 

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Paolo Zerbo
Paolo Zerbohttp://zarbos.altervista.org
Paolo Zerbo Direttore responsabile Laurea in Sociologia Communication skills and process model ICT developer
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