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Salina: Nino Caravaglio, l’Isola nell’Isola, il sogno e il mito di una filiera completamente autoctona

“Il vino è simile all’uomo: non si saprà mai fino a che punto lo si può stimare o disprezzare, amare e odiare, né di quante azioni sublimi o atti delittuosi è capace”. C. Baudelaire

“La viticoltura che Nino vuole praticare e nel corso degli anni ha definito, parte della sua personale memoria, ma non è mai un gesto nostalgico. Far vivere questi luoghi, rispettandoli, è un messaggio che guarda avanti, pur nascendo nella sua infanzia e nella ferma volontà di omaggiare la sua famiglia. Nulla è mai autoreferenziale. Come se, rispettando il suo vissuto agricolo e affettivo, che non sono mai disgiungibili nei suoi racconti, automaticamente si rispettasse l’ambiente, il paesaggio, la produzione autoctona. È impossibile se lo sguardo si fa impersonale e distaccato, non vedere che quello che Nino ha faticosamente costruito in questi suoi trent’anni di lavoro in vigna, sia un modello di vera sostenibilità di micro economia, di successo, di tutela ambientale e di rispetto del lavoro e di chi il lavoro lo compie. Non che vada tutto sempre tutto liscio, ma lui ci prova e ci crede”.  Dal libro “Eolie enoiche. Racconti di vini di isole di vignaioli sensibili alla terra” di Simonetta Lorigliola edito da DeriveApprodi.

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Il “Nino letterario” del nostro incipit è Antonino Caravaglio, titolare dell’azienda agricola omonima di Salina, nelle isole Eolie, che nasce sul solco di un’azienda agricola familiare diretta coltivatrice, di uva rossa, Nerello Mascalese, Malvasia e capperi. La terrazza della sua azienda dove ci troviamo, è mozzafiato un panorama da urlo che solo le isole con tempo variabile possono dare…

Nino ci racconta iniziando dalla fine: “Conclusi gli studi di agraria mi dedico all’attività di famiglia completando la filiera, imbottigliando e distribuendo direttamente il prodotto. Contiamo una superficie di circa 12 ettari: 10 a Salina e 2 a Lipari. Sono socio con Andrea Montanari dell’azienda Vigne di Mare, vigneto di Malvasia impiantato sull’isola di Stromboli. L’obiettivo che ho sempre condiviso è stato portare avanti i vini del territorio: la Malvasia delle Lipari passita, i vini bianchi secchi dallo stesso vitigno”.

Susanna: Ma entriamo un po’ nella storia quasi dall’inizio…
Nino: “Quando ero un ragazzo, dopo la scuola dell’obbligo, si andava a Lipari per studiare ragioneria o geometra. Si doveva comunque scegliere e la mia famiglia aveva una piccola attività agraria, quindi avrei potuto scegliere il settore agrario o nautico, come capita in una piccola isola: Terra o Mare. Scelsi la Terra e quindi il Tecnico Agrario per il diploma e la Facoltà di Agraria per la laurea, a Catania, tornando poi a Salina all’età di 25 anni. Ho ripreso l’azienda familiare e abbiamo iniziato nuovi vigneti su superfici che avevamo assunto in affitto e che nel corso degli anni abbiamo comprato. Il vino del territorio conosciuto è la Malvasia delle Lipari Passito doc dal 1973 e fino al 2009 è stato solo Passito. Poi abbiamo iniziato a vinificare la versione secca e nel 2010 nasce il vino dal nome “Infatata”.

Susanna: Da dove nasce il nome “Infatata” leggo nell’etichetta, Salina Bianco di Malvasia Secca?
Nino: “Infatata” nasce da un vino storico pregiato, appunto la Malvasia verso un vino nuovo che non si era mai degustato, “un vino bianco secco e non stagionato” dalla Malvasia delle Lipari. Di solito i vini bianchi erano prodotti da Inzolia e Catarratto. Dopo aver avuto quell’indicazione “atavica” mi sembrava naturale “maturare” un macerato, che penso sia diventato la mia passione “segreta”. Così è nato “Occhio di terra”. Ho iniziato anche la vinificazione e affinamento lungo della Malvasia in legno. Oggi produco 80% vini bianchi secchi, 20% passito e due vini rossi con uve di Corinto Nero da piante giovani dai 10 ai 35/40 anni, “Neru du Munti”, e da piante Pre Fillossera una piccola vigna con il vino “Scampato”, si chiama così perché è scampato “alla epidemia ottocentesca” e in futuro rappresenterà un patrimonio genetico viticolo e antropologico che curato e custodito, si trasformerà in un “vino raro e sacro”, ossia un’antica memoria botanica socioculturale da condividere.

Susanna: Che cos’è che esploso recentemente, nell’ambito del vino “secco” delle Lipari?
Nino: “I vini bianchi dalle Malvasia di Lipari hanno creato interesse nei confronti di questa produzione e sono stati di stimolo per altri produttori, anche nelle altre isole. Questo è un momento molto favorevole per lo sviluppo vitivinicolo: siamo passati da un vino “esotico storico” a un vino bianco da aperitivo e cocktail. Vi è un mercato più ampio rispetto ad un vino dolce, i giovani “vignaioli” hanno aperto nuovi vigneti e ripristinato gli antichi, quelli abbandonati, durante le migrazioni dei salinesi. Con le grandi migrazioni della fine 1800 (causa Fillossera) e fino alla metà del 1900 tra guerre ed epidemie le isole Eolie si erano spopolate per cui la pesca era l’unica risorsa.

Susanna: E poi il turismo. All’inizio mi ricordo era solo di èlite. Quando è diventato relativamente di massa c’era il ritorno di nuove leve, nel periodo della bella stagione. Ma poi chi viene a visitare la Sicilia, isole comprese, quando gli capita di fare una vacanza, si innamora della “terra” di Sicilia inteso proprio terriccio, polvere lavica, silicio e sgretolamento di roccia a causa erosione dei venti, che Eolie viene da Eolo dio del vento di matrice romana. Solo per farla molto breve…come spesso avviene le nostre bellezze, non le vediamo e ce lo vengono a dire da “fuori” gli altri, che viviamo nell’isola più bella del mondo e Caravaglio sta nell’isola più bella delle Eolie. Caravaglio e l’isola dell’isola…

Nino: “Le isole Eolie sono anche “contadine” e il riaffermarsi della comunità agricola eolia, è un riaffermarsi delle proprie radici culturali. Così non si viene solo per il mare e per la lussureggiante vegetazione, ricordiamo che Salina è riserva naturale, si viene anche viene per degustare i vini. Siamo circa 13 produttori: ognuno fa il vino diverso, ognuno lo interpreta come desidera. Siamo tutti in agricoltura biologica e la nostra natura vulcanica fa sì che i vini rispecchino le caratteristiche pedologiche dei terreni minerali e profumati. I vini vulcanici sono vini che cambiano da zona a zona: ogni trecento o quattrocento metri sulla terraferma cambia la caratteristica del terreno, nell’isola di Salina, questo cambiamento si ottiene a cento metri di distanza perché quella colata lavica dove si coltiva la vigna, è diversa”.

Susanna: Quali sono le differenze con il terroir dell’Etna?
Nino: Intanto l’altitudine, qui sono a 300 metri che corrispondono sull’Etna mediamente a 500 metri, fino a 1000 metri. Qui si coltiva Malvasia e Corinto Nero un po’ di Nerello Mascalese, ma la vite si adatta alle condizioni pedoclimatiche e il prodotto è completamente diverso. In comune con i vini dell’Etna, hanno salinità e mineralità, dicevo a 300 metri su un isola, sono come 500 sulla terra ferma perché incide il fattore umidità, escursione termica giorno e notte. Il vantaggio dell’agricoltura biologica naturale, per le viti, non irrigando e non concimando scendono in profondità alla ricerca di elementi nutritivi e minerali che vengono dalla disgregazione della roccia: per questo sono intrinsecamente legati al territorio…”

Susanna: Abbiamo parlato di viti di terra di vulcani ora andiamo sui vigneti, guardando il video…
Nino: “Abbiamo innestato a pieno campo, mettiamo il selvatico, non facendo nessun trattamento, abbiamo appena dato una spolverata di zolfo, che passiamo dalle tre alle quattro volte in un anno: lo zolfo, che è ammesso in agricoltura biologica. Passiamo lo zolfo perché la vite è attaccata dall’oidio, e dalla peronospora. La prima volta con lo zolfo ramato al 3% perché previene la peronospora che prospera quando ci sono piogge e temperature basse. Quando andiamo più avanti passiamo solo lo zolfo che è un elemento naturale: l’importante è intervenire nel momento più delicato che è ora, dopo il germogliamento, guardate l’infiorescenza (n.d.r. siamo a fine aprile)”.

Susanna: Perché diventa facile riconoscere il vitigno della malvasia?
Nino: “La malvasia è caratterizzata dal grappolo allungato e due ali. La potatura è a guyot, dove lasciamo uno sperone di due gemme e un capo a frutto di sette, otto gemme. La pianta fruttifica a partire dalla terza gemma: per questo non possiamo fare una potatura corta, per questo motivo non si è mai coltivato ad alberello. La forma più antica era la pergola bassa, come c’è a Stromboli e in tutte le Eolie, un metro per un metro, perché la Malvasia ha bisogno di una potatura lunga, le prime tre gemme non portano il grappolo. Ma a partire dalla terza gemma portano 2 grappoli per ogni germoglio”.

E finiamo col nuovo progetto di Antonino Caravaglio della cantina “grotta” che ricorda molto l’architettura bizantina scavata nelle fondamenta di Salina. E che è già una leggenda.

Approfondiremo sul magazine leculture.it.

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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