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Francesco Russo: L’uomo più arrabbiato di Brooklyn

Chi è Francesco Russo?

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Un affabulatore che non racconta favole, Un poeta di medie dimensioni che porta in nuove dimensioni, uno scrittore che non pubblica ma che è spesso scritturato, del tutto sconosciuto (a me stesso soprattutto) e sconosciuto del tutto, nel senso proprio che sconosco quel tutto in quanto l’intero margine culturale (molto vasto) di me stesso mi circonda e mi asseconda continuamente. Un essere narrante ed errante (nel senso che sbaglio continuamente) a passo con i tempi, nel senso che filo via, volando per la strada, da un appuntamento ad un altro, con l’orologio in mano, saltellando da questo impegno a quest’altro per evitare di essere violentato dagli eventi. Quello che mi succede tra una memoria e l’altra è che dimentico nello yin e “young” d’ogni giorno dimentico dicevo, d’essere giovane, d’ essere felice. Sono un continuo singhiozzo di vita, un lampo di colore fresco che macchia, (non sempre arcobalenizzante) tutto ciò che tocca. Sono un bambino nato con certezze, ma cresciuto per sbaglio. Sono Stefano Francesco Russo ma nessuno mi chiama così. Tutti, chi mi conosce, chi mi odia e chi mi vuole bene, mi chiamano Ciccio.

 

Quando e come hai iniziato

Ero piccolo, molto piccolo avevo cinque anni. Abitavo in un appartamento che aveva un grande spiazzale, come terrazza, il condominio tutto intorno: era una forma precostituita di teatro, avevo un mantello di stoffa rossa, avrei potuto essere, con quel mantello, chiunque avessi voluto: Cesare, Marco Antonio, Cleopatra, San Sebastiano, o Superman, poi a scuola, in quarta elementare, mi venne l’idea folle di mettere in scena “Aladin” della Walt Disney, in verità era soltanto perché morivo dalla voglia matta di interpretare la parte del Genio. Già mi vedevo vestito, truccato di blu a dire le battute di Robin Williams. Ovviamente non fu mai realizzato. Mio padre mi aveva fatto vedere i film di Charlie Chaplin e cominciai a studiare la Clowneria, poi partecipai come comparsa per teatro Lirico, durante la fine di una Replica di Cavalleria Rusticana di Mascagni, gli attori si accingevano a prepararsi per lo spettacolo successivo “Pagliacci” di Leoncavallo. Un uomo (credo che fosse qualcuno del coro) entrò in camerino e spargendosi della colla sul naso e sulle sopracciglia si appiccicò una calotta in lattice diventando improvvisamente un Clown dalla forma buffa e divertente, io feci con il piede uno di quei battiti sul pavimento, di quelli che fanno i bambini quando fanno i capricci, avevo gli occhi spalancati e dissi «Anche io». Da allora non ho mai smesso.

 

I tuoi lavori principali?

Lavoro presso il Teatro “L’istrione” collaboro con Valerio Santi da quasi 10 anni durante i quali ho avuto la possibilità, di mettere in scena alcuni dei tanti testi che ho scritto “La grande Onda” ad esempio è un monologo a cui sono molto affezionato, scritta come novella, poi trasformata in testo teatrale per la stagione Tè- atro sempre presso il Teatro L’Istrione. Insieme a Santi ho avuto la possibilità di mettere in scena Il “Don Chisciotte e Sancio panza” che riposava dentro un cassetto da non poco tempo, il testo è una mia riduzione dal celeberrimo romanzo di Cervantes con soli due personaggi. Questo mi ha dato la possibilità di far vedere l’affiatamento tra me (Sancio Panza) e Il mio Don Chisciotte (Valerio) tanti oggi ci chiedono «Ma quando lo rifarete?». Oggi il “Don Chisciotte…” gira per i teatri di Sicilia, e ne sono felice davvero. Senza dubbio la riscrittura del Don Giovanni è stata un’altra operazione riuscita di cui vado fiero. Giraper le scuole anche un mio testo interpretato meravigliosamente da Jacopo Cavallaro e Marco Mazzaglia “Due siciliani in paradiso” ispirato alla figura di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il testo è acclamato dai giovani, accolto con gioia e rispetto dai professori e devo dire che mi sta dando grandi, grandissime soddisfazioni.

 

La tua mission? C’è un file rouge?

Dipende se la parola File la leggiamo in inglese o in Francese, in inglese diventerebbe file (fail) e beh sì in quel caso di file ce n’è tantissimi, incompleti, incompiuti: sto lavorando ad esempio alla scrittura d’un testo su Michelangelo Buonarroti. “Io Gerusalemme” testo che racconta le vere vicende del servitore di Caravaggio (Michelangelo Merisi) ormai, dorme in un cassetto da quasi cinque anni. Riposa nella mente un testo su Touluse Lautrec e il testo sulla madre di Charlie Chaplin, storia di una donna straordinaria che ho scritto in Inghilterra qualche anno fa: lo scrissi dentro le pagine di un quadernetto comprato a Kenighton road con inchiostro vivo su carta, proprio davanti a casa sua (di Charlie intendo dire).

Mission? Se c’è una mission?

Sì, beh … c’è e come! Vorrei cercare di dare un segnale, sì come un segnale stradale, “divieto d’accesso” non tutti possono entrare, lo studio e l’umiltà devono essere bigliettini da visita, divieto di sosta, sarebbe quel segnale, quel divieto che ti dice di non sostare. Oggi il “non so stare” è proprio sul palco, si è dimenticato (a mio avviso e ad avviso di molti miei colleghi, non ho scoperto l’acqua calda) dicevo si è dimenticati di come si sta sul palco, la sacralità delle prove, la ricerca dell’equilibrio, un anti divieto di sosta poi, simile a quello vero ma opposto totalmente opposto, un divieto che dica “calma, cos’è questa sovrapproduzione?” un divieto di corsa, un divieto che dica, di fermarsi, di rallentare un attimo. La pubblicità viene interrotta ogni tanto da qualche breve brandello di film. La pubblicità ci da il ritmo dell’attenzione, il volume della rabbia. la “Mission” mia e di qualche mio collega è lo stacco, dire al pubblico «Ehi, Questa non è televisione, non è l’isola dei etc etc … qui si racconta, si soffre si ride questa è carne, questo è sudore… ma vero! Non è televisione» Non disprezzo adesso che fa televisione perché chiamato, in contesti recintati da limiti di decenza, anche io la farei, la televisione … ma questo è un discorso che va oltre, parlo di rispetto, di riverenza all’attore. Le parole sono morte perché è morta la poesia, se non ci si guarda dentro non c’è ascolto, se non c’è ascolto abbiamo ucciso l’affabulazione, la mente dei bambini, la possibilità non solo di vedere ma di stravedere, è tutto creato è tutto già fatto, non c’è ricerca interna, i bambini non immaginano più… vogliono e basta. Questo non è rispetto per la libertà.

 

Quindi che cos’è per te il teatro?

Oggi viviamo in grandi forme d’apparente libertà, inscatolati tra il traffico i parcheggi e le file posso dire, tra una striscia blu e un’altra, tra la confusione e la narrazione che che il teatro è ricreazione. Per chi lo vede (e spesso dovrebbe farlo per capire) è certamente un momento ricreativo ai limiti dell’assurdo del “ma com’è lo spettacolo? Si ride?” per chi lo fa (e spesso dovrebbe andare di più a vederlo per capire “come si fa”) dicevo per chi lo fa è ri creazione, ma non nel senso di pausa, sosta, break (poi potrebbe essere. Ognuno a suo modo) ma nel senso di ricrearsi, rigenerarsi, darsi una nuova vita, ma non nel viverla fingendola di vivere, ma nel senso di ri-uscire, ossia uscire fuori nuovamente, riuscire per ri-uscire, andare fuori ripetutamente dagli schemi dell’oggi non agisco, oggi non do. I “non dare” non suonano da un pezzo, ma inondare quello sì, fa una musica che travolge come un’onda, (grande forse) che sia l’estate del silenzio? Chi parla del teatro sembra registrato, tutti convincenti, ma il rispetto? Il rispetto del sacro? Il silenzio si usa quando si entra in teatro! Non quando il momento di dare un’opinione, Il silenzio non dell’opinione ti schiaffeggia da dentro, mette sotto scatto la dignità, ma il silenzio della preghiera, della costruzione, d’ogni battito, contrappunto, pausa di questo benedetto maledetto mestiere che non è considerato affatto un mestiere (anche io vedi? Registrato) il teatro è un mestiere che, beh sì forse potrebbe, dovrebbe, rendere liberi sia chi lo fa, che chi lo va a vedere, una libertà comune = la cultura è libertà.

 

Il prossimo lavoro?

Purtroppo o per fortuna sto lavorando ad un progetto molto più grande di me, un omaggio a Robin Williams.

Ho trasformato un film meraviglioso, (credo che fosse il suo terz’ultimo) in un testo teatrale “L’uomo più arrabbiato di Brooklyn” interpretando tutti i personaggi, modificandoli anche cucendomeli addosso, un vero strazio mnemonico ma comunque molto sentito e divertente. Andrà in scena il 24 Febbraio e il 3 Marzo, presso il teatro L’istrione per la stagione Tè-atro curata da Valerio Santi.

le foto sono di Dino Stornello

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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