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Angelo D’Agosta esploratore dell’anima

I nati il 10 marzo si preoccupano di più ad esplorare la propria complessa personalità piuttosto che anelare potere e fama ma sentiamolo direttamente da chi è nato in questo giorno…

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Chi è Angelo D’Agosta?

Angelo D’Agosta è le cose che gli piacciono. È il marito di Alessandra, il papà di Federico e Giuliana, le storie che racconta e quelle che ascolta, il suo orecchino vistoso,  i cappotti lunghi, e le sciarpe, tante tantissime sciarpe, i vinili di De André e la chiavetta usb che è più comoda, il teatro, ma non per forza le poltrone di velluto, I Briganti di Librino, ma anche Cibali che è il suo quartiere, i rimbalzi imprevedibili di un pallone di rugby, e la polvere sul palco, Roberto Vecchioni citato a saltare e i quadri di Raffaello Sanzio, Leonardo (soprattutto la tartaruga Ninja ma anche il Genio), gli occhi di mia moglie, la poesia che c’è dentro una mischia,  e quella sopra un campo di periferia dove giocano i bambini, la barba fatta dal barbiere, che è un’altra cosa, Corto Maltese, Wolverine e Giuseppe Ungaretti, Pertini (prova a dire Pertini senza sorridere), le favole che mi raccontava mia nonna e le storie del quartiere che mi racconta mio nonno, i risotti (che mi riescono sempre alla grande), il borsello con l’agenda (rossa) e le chiavi, tante chiavi, tantissime chiavi. La birra artigianale ma anche la Cast**** “vivuta ppi siti”. La pizza alla parmigiana e il pollo alla brace con la maionese, tanta tantissima maionese. Gli appunti a stampatello, copioni interi a stampatello, pagine di parole a stampatello. E poi il silenzio, mi piace il silenzio.

 

 

I lavori principali

Sono tanti i lavori che conservo nel cuore. Te ne dico solo tre per non fare “la lista della spesa”. Però tutti e tre hanno significato per me un cambiamento nel mio modo di vivere il teatro.

Il primo è “Phaedra” di Alberto Bassetti, per la regia di chi mi è amico, maestro e sodale, Giovanni Anfuso, con Liliana Randi. Ippolito è stato il primo personaggio  “enorme” con cui ho dovuto fare i conti. È uno spettacolo a cui sono legato e  che, vorrei continuare a fare…  finché sembro ragazzo…

Il secondo e il terzo sono due lavori che ho fatto per conto del Teatro Stabile di Catania. Il primo è “Solo Andata” di Erri De Luca. Fu un bel lavoro di costruzione corale. Lo spettacolo è stato il frutto di un laboratorio fatto con gli allievi della Scuola dello Stabile (dove anche io mi sono diplomato), che mi ha permesso di essere a 32 anni, compiuti proprio in quei giorni, il più giovane visiting professor e uno dei registi più giovani nella storia della Scuola e dello Stabile di Catania.

E il terzo spettacolo è “L’ombra di Euridice” di Mario La Rosa (che hai visto), perché… perché c’è tanto Angelo in quello spettacolo.

La mission e il fil rouge

Io non ho un fil rouge. Il filo mi dà l’idea di un percorso già prestabilito. Preferisco trovare sempre nuove traiettorie. Questo non vuol dire farsi travolgere dagli eventi, anzi, secondo me, vuol dire farsi trovare sempre pronto e con uno slancio sempre nuovo. Oggi il mio percorso mi ha portato a quanto fatto finora, ed è stata una bella scoperta… è bello lasciarsi stupire.

 

Che cos’è il teatro?

Per  me è il luogo più profondo dell’animo umano, dove sono nascoste le parole che non diciamo neanche a noi stessi.

L’Ombra di Euridice, parla di un argomento molto delicato, la malattia e la morte di una persona cara. Quello fu l’ultimo spettacolo che vide mio padre. Il teatro mi diede l’occasione di potergli raccontare come mi sentivo io nel vederlo stare male.

 

Alcuni dicono che non si può fare (o essere attori) e contemporaneamente registi del proprio spettacolo cosa ne pensi?

Non c’è nessuna legge che lo vieti. Mi è capitato spesso di dirigermi, e con me sono anche molto intransigente. Tra l’altro, quando dirigo ma non sono in scena, sono sempre colto da una ansia micidiale, che invece quando recito riesco a mitigare.  Nelle mie regie, e soprattutto quando sono anche in scena, ho sempre l’occhio vigile di Agnese Failla, il mio regista collaboratore, mia sorella,  di cui mi fido ciecamente.

 

Riesci sempre a cogliere la vision del regista o c’è una sorta di contrattazione?

Ci provo, anche se capita di non condividere del tutto una interpretazione del testo o del personaggio. Cerco sempre di farla nel migliore dei modi, quello è l’unico modo per capire se la direzione è giusta o no. A che serve entrare in scena ed eseguire male un’indicazione solo perché al momento non la si condivide? Questo vale anche quando mi dirigo (non è sempre detto che Angelo attore e Angelo regista siano d’accordo).

 

C’è differenza tra l’attore e il personaggio che si interpreta? O si diventa la stessa cosa?

Ho avuto l’occasione di interpretare personaggi molto importanti e ingombranti che pretendono “tutto l’attore” per se. Per me è impossibile diventare un personaggio, e poi scordarlo per diventare un altro e così via. Quando mi avvicino ad un nuovo personaggio non provo ad immedesimarmi ma a costruirlo, crearlo. Studio quello che è il suo percorso dentro la storia e poi cerco di dargli “una forma”. Come si muove? Come ride? Come respira? Ad esempio io studio molto davanti lo specchio, come i danzatori. Il corpo mi darà delle indicazioni su come è il personaggio, così naturalmente.  Tutte queste informazioni costituiranno la scatola del personaggio, che sarà sempre a mia disposizione, e non il contrario.

 

 

Vizi e virtù

Vizi pochi, virtù meno.

Prossimi lavori

Quest’estate riprenderemo “L’Inferno di Dante”, dove nelle due edizioni precedenti (estiva alle Gole dell’Alcantara e invernale a Noto) ho interpretato prima Virgilio e poi Dante (grazie alle scatole magiche di cui sopra), e poi sto riprendendo i miei studi sul Nuovo Testamento e sul teatro di narrazione, seguiranno aggiornamenti.

 

 

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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