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Sonja Gherbi: la forza dell’innocenza diventa fragilità nell’interagire con la realtà dei grandi

Arriviamo in questo mondo, abbarbicati a un cordone che ci lega alla vita per sempre, procediamo con la nostra esistenza gattonando, poi, imparando a camminare con i nostri piedi. Ci viene dato un nome che, per quanto comune o, al contrario raro che sia, diventa nostro, accompagnando le azioni di una vita intera, dando un suono ben preciso al destino che amiamo invocare. Ma, il tempo prima o poi inizia a bacchettarci e la forza dell’innocenza diventa fragilità nell’interagire con la realtà dei grandi.

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Cosa può succedere dentro la testa di una bambina quando per la prima volta la sua esistenza viene messa in discussione dal mondo degli adulti?

La maestra arrivò correndo davanti alla porta chiusa della classe, la vidi ansimare da dietro i vetri, posti ad incastro sulla parte superiore delle grandi ante, stava prendendo fiato prima di varcare la soglia. Quando entrò si rivolse a me, proprio a me. Un magone arrivò alla mia gola ma non mi fu dato il tempo di pensare che la maestra pronunciò con una voce drastica: «Sonja, tu non esisti. Non esisti», continuò a ripetermi.

Io, a quest’affermazione, non riuscii a trovare risposta o a pormi nessuna domanda che potesse seguire una linea logica di pensiero. Finì per estraniarmi, non esistevo, ci stava che lo facessi. Forse, era stato solo un sogno il mio? Una finzione la mia vita, i miei affetti, le mie passioni? Che senso avrebbe avuto, da quel momento, da quel big bang, soffrire e gioire senza esistere?

La maestra continuò, blaterando qualcosa e tanti perché. Perché il tuo nome è scritto così e non così, perché la “i” non è una i ma qualcosa di più lungo, perché dovevo rimediare a questa condizione di ambiguità e confusione. Insomma, dovevo in qualche modo trovare una soluzione alla mia non- esistenza per poter esistere di nuovo. Dovevo cambiare il mio nome. Una sola lacrima in classe e un grande dramma esistenziale: essere o non essere.

Da quel giorno imparai una nuova lettera, la ipsilon, era una “i lunga”, quindi, grazie alla sua coda sarei riuscita a vivere nuovamente, peccato che l’errore sul certificato di nascita riguardasse una j, ma questo lo scoprii molto più tardi, dopo aver firmato documenti ufficiali, compiti in classe e dediche con la coda di una ipsilon.

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