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τροφήν, la prima Medicina: ‘Le intolleranze alimentari, l’irrisolto mistero dei test alieni’


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(Adnkronos) – “Sarebbe perfetto ed appropriato il termine ‘intolleranza’ se, dovendosi riferire esclusivamente ad un ampio e serissimo settore della Medicina relativo alle reazioni avverse al cibo, non fosse anche e maldestramente utilizzato da una schiera sempre più folta di ciarloni che, con pratiche molto alternative rispetto alle canoniche evidenze scientifiche, si propongono come risolutori dei problemi correlati alle “intolleranze” alimentari sbandierando, come elemento giustificativo del loro magico operare, l’esclusivo ricorso a metodi ‘soft’, naturali, non invasivi e affatto rischiosi. In verità, la descrizione sarebbe più corretta e completa se si aggiungesse la non trascurabile postilla dell’assoluta inaffidabilità ed inefficacia di tali metodiche, prive di ogni fondamento scientifico, non supportate da studi controllati in doppio cieco, né validate da percorsi diagnostici e terapeutici Evidence-based medicine”. ‘Le intolleranze alimentari, l’irrisolto mistero dei test alieni’ sono il protagonista della nuova rubrica, “τροφήν, la prima medicina”, condotta dall’immunologo Mauro Minelli della Fondazione per la Medicina Personalizzata, 

“Le ripercussioni nel mondo reale di queste pratiche farlocche, pure in incontrollabile ascesa, sono certamente di tipo salutistico potendo generare, per esempio, ingravescenti carenze nutrizionali in soggetti ingiustamente privati di alimenti fondamentali, ovvero ritardi diagnostici di malattie importanti tenute lungamente sospese nel limbo incosciente delle intolleranze’. Per contro – prosegue Minelli – rilevanti sono le ricadute commerciali del fenomeno, essendo queste procedure al centro di un sistema di business che, seppur basato su diagnosi fallaci e fantasiose, genera, secondo dati ufficiali riportati dalle Società scientifiche di riferimento, un fatturato complessivo di circa 3 milioni di euro, con almeno 4 milioni di esami eseguiti in un anno e una crescita progressiva dell’8-10%, sempre su base annua”. 

“Certo, le reazioni avverse al cibo sono tra loro differenti, potendo includere nel loro contesto quelle dipendenti da un’allergia alimentare vera, quelle di tipo tossico e le intolleranze alimentari su base non immunologica. Queste ultime – continua – sulle quali prevalentemente si concentra l’attenzione del variegato mondo degli operatori alternativi, sono generalmente secondarie ad altre patologie internistiche e possono, a loro volta, essere ulteriormente suddivisibili in intolleranze da difetti enzimatici ed intolleranze da sostanze farmacologicamente attive, spesso dipendenti da un’alimentazione scorretta perché basata su cibi non naturali in quanto sottoposti a tecniche di coltura e di produzione inadeguate e, magari, addizionati di edulcoranti o conservanti. E’ descritto che tali anomalie possano avere degli effetti biologici in diversi soggetti i quali, invece di essere sottoposti a valutazioni cliniche utili ad individuare e correggere il difetto di fondo, frequentemente incappano in percorsi diagnostici e poi anche terapeutici tutt’altro che fondati su principi di efficacia e appropriatezza a garanzia della loro salute”.  

“Nel momento in cui medici che, in piena pandemia, hanno rischiato perfino di essere multati solo per avere lavorato oltre gli orari previsti nell’unico intento di salvare vite umane, e di fronte a vere e proprie distorsioni scientifiche aberranti e pericolose, una scelta chiara e finalmente definitiva si impone. Se è vero che l’articolato del Codice di Deontologia Medica in più punti testualmente recita che “il medico fonda l’esercizio delle proprie competenze tecnico-professionali sui principi di efficacia e di appropriatezza, aggiornandoli alle conoscenze scientifiche disponibili e mediante una costante verifica e revisione dei propri atti” e che ‘la prescrizione deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili, sull’uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei principi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza…’, è tempo di rompere la pesante cortina di indifferenza rispetto ad un problema certamente in grado di impattare sulla qualità della vita tanto dei soggetti direttamente interessati, quanto anche dei loro familiari, con costi sanitari rilevanti sia per il singolo che per l’intero sistema sanitario”, conclude l’immunologo.  

 




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