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Fase 2, parla il professore Filippo Drago: il quadro globale migliora ma attenti al “ritorno di fiamma”

Inizia la fase 2 del Coronavirus, ecco il parere del professore Filippo Drago, responsabile dell’unità di Farmacologia clinica del Policlinico Universitario di Catania, identificato dall’assessorato regionale alla Salute come centro hub per la gestione del trattamento con farmaci off-label dei pazienti positivi al covid19.

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Come procede il lavoro di ricerca al Policlinico, ci sono risultati significativi?
Registro un notevole calo dei casi di pazienti affetti da COVID-19 ricoverati presso ospedali della Sicilia orientale che richiedono la somministrazione di farmaci off-label come tocilizumab, siltuximab o remdesivir. In questi ultimi giorni, con rammarico ho ricevuto la conferma del ricovero in reparti di terapia intensiva di alcuni medici e infermieri. Il quadro globale è quello di un’epidemia che va scemando, ma che potrebbe riaccendersi con un “ritorno di fiamma”.

Cosa dovremmo aspettarci nei prossimi giorni?
Il 4 maggio è iniziata la fase due della gestione della pandemia in Italia, con molto entusiasmo da parte di tutti gli Italiani stanchi di restare in casa per l’emergenza sanitaria. Alcune misure del Governo si possono definire ampiamente condivisibili, altre meno. Quello che dobbiamo tutti ricordare è che saremo al sicuro dal COVID-19 solo quando sarà disponibile un vaccino efficace che dovrà essere assunto almeno da tutti i soggetti a rischio. Ci aspettiamo che questo avverrà non prima della fine di quest’anno. E’ quindi importante che fino ad allora tutti mantengano questi comportamenti che sono necessari perché non avvenga di una seconda ondata di contagi.

In provincia di Catania in questi ultimissimi giorni stanno aumentando i casi di contagio, c’è una spiegazione scientifica secondo lei?
Il fenomeno si deve all’andamento fluttuante del fenomeno epidemico che non si espande con una progressione “a macchia d’olio”, ma con possibili “ritorni di fiamma”. Globalmente, tuttavia, posso dire che non solo il numero dei contagi, ma soprattutto quello dei pazienti gravi (che rappresenta il vero indice dell’andamento della pandemia) è in via di sostanziale riduzione.

Come si spiega che farmaci vecchi, che curavano altre malattie oggi quasi scomparse, hanno un ruolo importante e possono trovare applicazione nella cura del Covid-19?
Questo fenomeno, che in Farmacologia chiamiamo “drug repurposing”, non è nuovo e si manifesta ogni volta che una malattia di ampie proporzioni epidemiologiche si diffonde in tempi molto rapidi e comunque incompatibili con lo sviluppo di nuovi farmaci o di un vaccino se si tratta di una malattia infettiva. Il “drug repurposing” si basa sul principio che i farmaci possiedono spesso vari meccanismi d’azione talvolta sconosciuti, anche se il loro impiego è noto da molto tempo. Un esempio tra i più classici è quello dell’acido acetil-salicilico, meglio noto come aspirina. Questo farmaco è stato sintetizzato nel 1897, utilizzato inizialmente come anti-infiammatorio, poi come antipiretico, ma solo negli anni settanta si scopre la sua azione come antiaggregante piastrinico e nel 2010 la sua attività antitumorale. Queste ultime azioni dell’aspirina sono state definite sulla base di importanti studi clinici di “drug repurposing”, che sfruttavano tutte le conoscenze circa il profilo di sicurezza e tollerabilità del farmaco (già ampiamente noto) con l’obiettivo di ampliare la gamma delle sue azioni cliniche. Nel caso del COVID-19, il modello di “drug repurposing” è stato applicato su farmaci come l’idrossi-clorochina, il tocilizumab, il siltuximab, il remdesivir e altri.

Cosa ne pensa dell’ipotesi complottista di cui si parla tanto?
E’ un’ipotesi alimentata soprattutto dall’amministrazione Trump, fondamentalmente per motivi politici. Ci sono prove scientifiche convincenti, pubblicate su riviste molto quotate, che dimostrano che il virus non può essere il prodotto artificiale di un laboratorio cinese. Scienziati americani hanno, per esempio, pubblicato sulla rivista Nature Medicine un articolo con il quale confutano quest’ipotesi sostenendo che i dati genetici dimostrano in “modo inconfutabile” che il coronavirus non è derivato da nessuna struttura virale pre-esistente e che, al contrario, il virus è derivato da una selezione naturale avvenuta in un animale usato a scopi alimentari, oppure in un soggetto umano in seguito a un trasferimento zoonotico.

Breve biografia: Filippo Drago é nato a Enna il 5 dicembre 1954. Ha conseguito la laurea con lode presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania nel 1978 dopo aver condotto l’internato presso la scuola di Farmacologia di Catania guidata dal Prof. Umberto Scapagnini. Il Prof. Drago ha conseguito tre specializzazioni mediche: psichiatria, neurologia e igiene mentale. Nel 1982 ha ottenuto il Dottorato in Farmacologia, maximum cum laude, a Utrecht (Olanda) discutendo una tesi intitolata “Prolactin and Behavior”, frutto di ricerche condotte con David De Wied, pioniere delle neuropsicofarmacologia.
Dal 1982 al 1984 ha lavorato presso l’Università di Szeged (Ungheria), il “Weizmann Institute” di Rehovot (Israele) e il Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Chapel Hill (North Carolina, USA) grazie al supporto di un Grant NATO per la Medicina. Già Professore Associato di Farmacologia presso l’Università di Catania, ha assunto il ruolo di Professore Ordinario nella stessa Università nel 2001. È sposato e padre di quattro figli. Link

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