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Apologia dell’invidia, “oh che bel castello”, l’augurio per il nuovo anno

“Oh che bel castello marcondiro ndiro ndello…il mio è ancora più bello marcondiro ndiro ndà… E noi lo ruberemo marcondiro ndiro ndello… e noi lo rifaremo marcondiro ndiro ndà… E noi lo bruceremo marcondiro ndiro ndello… e noi lo rifaremo marcondiro ndiro ndà… toglieremo la pietra marcondiro ndiro ndello… non ce ne importa marcondiro ndiro ndà”. Apologia dell’invidia. Un anno è passato e chi è invidioso dell’altro o dell’altra se non ha prodotto nulla di suo, magari aveva costruito “un bel castello” cade poi nel confronto di un altro prodotto di un’altra idea solo perché colui o colei che si incontra si è dichiarato migliore produttore di quel prodotto. Così succede per quello che si indossa, per l’auto che si guida, per i cibi che si mangiano, per la casa, per le vacanze… insomma: si può stare una vita a vantarci che noi siamo meglio e quando arriva qualcun altro che ci dice “io sono meglio di te” l’unica cosa a cui possiamo pensare è distruggerlo. Anche se poi come dice la canzone alla fine “anche se il mio è meglio e tu lo distruggi e io lo rifaccio e tu me lo bruci a me non me ne importa niente, perché comunque dovunque io lo rifarò sarà sempre meglio di quello tuo!”

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Cosa resta dunque? Cosa c’è di giusto nella competizione? Cosa c’è di sbagliato? Perché l’invidia dev’essere il motore del mondo? Da dove nasce l’invidia?

La competizione dovrebbe essere sfida a superare sé stessi e non gli altri. Ad essere originali seguendo veramente quello che ci piace e non seguendo le mode: ma sappiamo essere noi stessi o siamo cresciuti in famiglie dove l’unica passione era invidiare gli altri?

Dal latino in-videre, guardare contro, guardare con ostilità, nella nostra lingua il significato del termine vive nel risentimento che si prova per la felicità, il benessere e il successo altrui, sia che ci si consideri ingiustamente esclusi da tali beni, sia che, già possedendoli, se ne pretenda il godimento esclusivo. In una psicologia dell’invidia colui che prova tale sentimento appare come un individuo che vive in un continuo stato di insoddisfazione, poiché nell’invidiare non c’è ombra di piacere, ma solo pena e sofferenza.

Dante rappresenta gli invidiosi in Purgatorio, con gli occhi cuciti da fili di ferro per punirli di aver gioito nel vedere le disgrazie altrui, per la morale cattolica l’invidia è uno dei sette vizi capitali, direttamente contrapposto alla virtù della carità. L’invidia nasce dalla relazione, dal confronto con l’altro, una dinamica sociale importante, poiché è tramite l’altro che affermiamo noi stessi. Prima di poter desiderare qualcosa che non abbiamo dobbiamo poterla vedere, è l’altro che fa nascere in noi il desiderio.

Psicologia dell’invidia cattiva: “Se io non posso, allora neanche lui/lei!”

Dopo esserci confrontati nasce la consapevolezza della nostra mancanza, ed è da questa constatazione che possono scaturire sentimenti negativi verso sé e verso gli altri: senso di inferiorità, inadeguatezza, frustrazione, impotenza, odio e rabbia per la grandezza dell’altro che ci schiaccia. E in questo momento non vediamo più le nostre risorse, le nostre potenzialità, le nostre possibilità, ma si pensa solo a svalutare l’altro per impedire la caduta del proprio valore. Svalutare ciò che non si può ottenere è una strategia che nasconde i nostri limiti. Alcuni ricercatori hanno evidenziato come chi prova invidia non riesce ad instaurare relazioni positive con gli altri, restando bloccato in sentimenti come il risentimento, l’astio, la vergogna. Alla base vi è un senso di insicurezza che porta ad una scarsa fiducia di sé, ad una bassa autostima e ad una tipologia di locus of control esterno, cioè tutta la colpa viene dagli altri.

Psicologia dell’invidia buona: “Se lui/lei può, posso anch’io!”

L’invidia viene sempre considerata con accezione negativa, ma a fianco dell’invidia distruttiva, vi è un’invidia costruttiva. L’invidioso ha uno spiccato senso critico e ammirazione verso qualcosa che non è o che non ha. Molte ricerche confermano che le persone invidiose posseggono un notevole spirito di osservazione. Utilizzare questa facoltà per confrontarsi con l’altro e vivere la ricchezza della differenza riconoscendo i propri desideri, esplorando le proprie possibilità, accettando i propri limiti, può spingere a migliorarsi, invece che sentirsi frustrati e denigrare l’altro. “Se lui/lei sì, perché io no?” diventa così una motivazione all’azione, una sana competizione che ci stimola a raggiungere traguardi sempre più lontani: “Se lui/lei può, posso anch’io!”. L’invidia allora evolve in un input ad andare avanti, ad essere fiduciosi verso sé stessi ed assumersi responsabilità, a mettersi in gioco, a crescere. E il castello invece di distruggerlo si potrebbe costruire insieme inventando una nuova società: Marcondirondellodirondà

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