Seggi aperti in Tunisia per il referendum sulla contestata bozza di Costituzione promossa dal presidente Kais Saied, tra gli appelli al boicottaggio dell’opposizione per una possibile deriva autoritaria del Paese, ancora alle prese – a 11 anni dalla ‘rivoluzione dei gelsomini’ contro Ben Ali che segnò l’inizio della cosiddetta Primavera Araba – con gravi problemi economici e politici.
A un anno dalle misure eccezionali con le quali Saied rimosse il governo dell’allora premier Hichem Mechichi e sospese le attività del Parlamento – poi sciolto – e che portò a un’ampia concentrazione di poteri nelle sue mani, il referendum si pone l’obiettivo di sostituire la Carta del 2014. Il presidente, replicando alle accuse di “colpo di Stato” lanciate dall’opposizione, ha parlato della necessità di “correggere” il percorso aperto con la rivoluzione.
In questi mesi ha sempre ricordato come le sue mosse fossero dipese dalla grave crisi in cui era precipitata la Tunisia, dove si moltiplicavano le manifestazioni contro la crisi economica, amplificata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, ed il mancato raggiungimento degli obiettivi della rivoluzione. La nuova Costituzione, se sarà approvata, darà ampi poteri al presidente che sarà chiamato ad esercitare la “funzione esecutiva” con l’aiuto del governo e potrà ‘sconfinare’ nelle prerogative dei poteri legislativo e giudiziario.
Per contrastare i piani di Saied l’opposizione, tra cui la stessa Ennahda, si è compattata intorno al Fronte di salvezza nazionale guidato da un politico di lungo corso, Ahmed Néjib Chebbi, e che chiede da tempo un governo di transizione che porti avanti un programma di emergenza ed elezioni.