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Il proverbio racconta: “Nel regno dei ciechi chi ha un “occhio solo” è il Re”

Nella “mediocrità” chi ha un minimo di intelligenza può comandare

Il proverbio deriva da una locuzione latina “Beati monoculi in terra caecorum” (pronuncia: beàti monòculi in tèrra cecòrum) che letteralmente significa: “Beati i monòcoli nel paese dei ciechi”. Per “monòcolo” si può intendere sia “chi ha un occhio solo” e sia “chi ci vede da un occhio solo”. Questo concetto è espresso da Erasmo da Rotterdam “In terra caecorum monoculus rex”, Nella terra dei ciechi, il monocolo è re. Il proverbio è d’origine medievale, si cita per dire che, in un gruppo di persone prive di una data capacità, anche chi la possiede in modo incompleto o insufficiente è dotato di una grande fortuna.
Si può avere una doppia interpretazione: in senso positivo, perché con poco si può riuscire a emergere se gli altri sono “deficienti”; in senso negativo, per sminuire le presunte virtù di un individuo elogiato da chi non è competente, perché gli altri sono “deficienti.
Un collegamento storico nasce da Gaio Giulio Cesare, che viaggiando tra i villaggi degli Elvezi disse: “Preferisco essere primo qui che secondo a Roma”. Roma era la città più potente del mondo antico, e i villaggi alpini corrispondevano ai “ciechi”, Cesare poteva esercitarvi il suo potere e avere il primato grazie alle proprie competenze, piuttosto che fare da subalterno a Roma. Altra traduzione, di probabile origine siciliana è “nel paese dei ciechi, chi ha un occhio solo è re”: A lu paisi di l’orvi biatu ccu havi un occhiu. Che sarebbe: il mediocre emerge se tutti gli altri con cui viene messo a confronto sono peggio di lui.

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Ma c’è un ultima interpretazione che riguarda il significato “esoterico” dei proverbi, ovvero il significato nascosto: chi ha un “occhio solo” potrebbe alludere “all’occhio interiore” il cosiddetto “terzo occhio”, quello che si trova “in mezzo alla fronte”, l’unico occhio che hanno i Ciclopi, figure mitiche della cosmogonia siciliana, quindi i ciechi diventerebbero coloro che non hanno percezione dello “spirito”, della “divinità” che alberga in loro, cioè che vi abita, e che quindi sono “ciechi” perché non hanno ricevuto la “luce”. Mentre chi ha avuto “l’occhio aperto” per “iniziazione” o per “fortuna” diventa un “illuminato”: quindi ci “vede” e può guidare un popolo di “accecati”. Sicuramente non riguarda la figura dei Ciclopi in senso stretto, che di intelligenza, considerando l’episodio di Ulisse dell’Odissea, in cui Polifemo non fa una bella figura, ma riguarda l’apertura del terzo occhio cosiddetto, un organo capace di percepire realtà invisibili situate oltre la visione ordinaria. Viene localizzato poco sopra la radice del naso, in un punto centrale della fronte all’altezza del bordo superiore delle sopracciglia nella corrispondenza della ghiandola pineale o epifisi.

Quindi chi ha un occhio solo aperto in maniera “sperta” è più sveglio di chi ne ha due aperti in maniera “babba”. Figuriamoci di chi ci li ha “chiusi” da sempre. “Sperto” da noi significa “intelligente” e non “furbo”; “babbo” significa “inesperto” e non “sprovveduto”. Meditate gente, meditate.

 

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Paolo Zerbo
Paolo Zerbohttp://zarbos.altervista.org
Paolo Zerbo Direttore responsabile Laurea in Sociologia Communication skills and process model ICT developer
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