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Mafia: Commissione Ars, ‘traffico stupefacenti tessuto connettivo di Cosa nostra’

'I boss in grado di stringere alleanze per competere con organizzazioni straniere'

E’ il traffico di stupefacenti, con ingenti risorse immesse anche nel sistema legale e un controllo sociale che segue le logiche di spartizione delle piazze di spaccio, a caratterizzare il tessuto connettivo di Cosa nostra in Sicilia. E’ quanto emerge dalla mappatura effettuata dalla Commissione antimafia Ars nelle nove province dell’isola. Fenomeni sconosciuti fino a qualche anno fa, come il crack, per il loro basso costo hanno conquistato nuove fette di mercato, soprattutto tra i giovanissimi di classi sociali trasversali. “Con una peculiarità – sottolinea la Commissione – mentre l’organizzazione mafiosa controlla l’approvvigionamento delle grandi quantità, il mercato della trasformazione degli stupefacenti è affidato il più delle volte a gruppi familiari che, pur non essendo parte delle stesse organizzazioni mafiose, gestiscono la distribuzione al dettaglio”.

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Da qui molte delle emergenze segnalate dai sindaci ascoltati dalla commissione: “lo spaccio è spesso l’unica vera fonte di reddito per interi quartieri segnati dal degrado. Numerosi sono gli episodi di violenza e criminalità registrati sia per la ripartizione delle piazze di spaccio che per i reati commessi da chi consuma droga, con conseguente aumento di fenomeni come le baby gang ed episodi di prostituzione anche minorile”.

 

Troppe armi in giro. E’ l’allarme lanciato dai sindaci della Sicilia alla Commissione antimafia dell’Ars. “Soprattutto in alcune province, come nell’Agrigentino e nel Siracusano – si legge nella relazione della Commissione – ma praticamente in tutta la Sicilia, vi sia una diffusa circolazione di armi, utilizzate come status symbol da ampie fasce della popolazione, cosa che ha favorito il compimento di omicidi, anche plurimi”.

Un altro tema spesso denunciato dai primi cittadini – nel dettaglio sono stati 302 gli amministratori locali incontrati – è quello legato alla sicurezza urbana e alla tutela dell’ordine pubblico, messo a dura prova dalla carenza cronica di personale qualificato e di agenti municipali e dall’assenza di sistemi di videosorveglianza che richiedono costi di installazione e manutenzione fuori dalla portata delle casse dei comuni siciliani. Su questo la commissione chiederà al governo regionale, così come fatto con una risoluzione urgente per i Comuni della “fascia trasformata” di estendere a tutti i territori, in particolare a quelli in dissesto economico, le tecnologie utili a tutela della sicurezza e della legalità.

 

Una mafia capace di “infiltrarsi sempre più nell’economia legale e in grado di stringere alleanze per competere con le organizzazioni criminali straniere, complice un calo generale della tensione antimafia nell’opinione pubblica e una scarsa incidenza delle associazioni antiracket che ha permesso negli ultimi anni nuove forme di raccolta del pizzo”. Ė uno dei tratti che emerge dalla prima mappatura della Commissione antimafia dell’Ars, presieduta da Antonello Cracolici, che ha ricostruito lo stato attuale di Cosa nostra. La Commissione, nelle sue audizioni nelle province dell’isola, ha ascoltato anche 302 amministratori locali dei 391 Comuni della Sicilia. Nove incontri svolti nelle sedi prefettizie dell’Isola, eccezion fatta per i Comuni di Favara, Acate e Castelvetrano, scelti per un peculiare tratto criminale o, come nel caso di Castelvetrano, perché all’indomani della cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro. Nel corso dei nove incontri con i prefetti, la Commissione ha ascoltato 19 procuratori capo, 4 procuratori antimafia, i questori, i comandanti provinciali della Guardia di finanza e dei Carabinieri, nonché i vertici delle direzioni investigative antimafia delle singole province.

Dalla mappatura di Cosa nostra effettuata dalla Commissione, emerge un’organizzazione che presenta “elementi di omogeneità ma anche profonde differenze nella sua articolazione nelle nove province dell’Isola, specie per quanto riguarda i suoi ambiti di interesse e i rapporti con altre organizzazioni criminali”. È quanto accade, ad esempio, nei territori in cui convivono Cosa nostra e Stidda che uniscono le proprie forze per competere con organizzazioni criminali straniere. Il modello criminale mafioso si articola o nei classici mandamenti – che hanno una presenza storica che si tramanda in alcuni casi di padre in figlio – o in una spartizione di zone d’influenza dove operano, in autonomia, più soggetti criminali o più famiglie mafiose pronti, tuttavia, a collaborare reciprocamente per i propri interessi.

 

L’attività estorsiva continua ad essere il tratto fondamentale di Cosa nostra, garantendo oltre all’accumulazione di denaro, l’affermazione della propria presenza sul territorio. E’ quanto emerge dalla mappatura effettuata dalla Commissione antimafia Ars nelle nove province della Sicilia. Le audizioni con i Comitati dell’ordine e della sicurezza di tutte le province siciliane – iniziate a febbraio 2023 a Castelvetrano e concluse a Catania a settembre – hanno segnalato come “alla recrudescenza del fenomeno estorsivo sia connessa una minore capacità del sistema imprenditoriale siciliano di reagire, sia in termini di denunce che in termini di reazione, con numerosi casi in cui, al contrario, è l’imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan per la cosiddetta messa a posto”.

Un dato a cui si affianca, sottolinea la Commissione, “un preoccupante sfilacciamento del tessuto sociale che, invece, sull’onda emotiva successiva alle stragi di mafia, si era schierato contro lo strapotere delle mafie. Una caduta della tensione che si è tradotta in un sentimento di indifferenza che ha determinato l’assenza di associazioni antiracket in alcune province siciliane o la loro cancellazione per inattività, riducendo la loro funzione, in alcuni casi, alla mera assistenza legale della vittima di estorsione senza che ciò si traduca in una attività di prevenzione e sensibilizzazione contro il racket”.

Sono 30, in tutto, le associazioni antiracket registrate nell’Isola, 31 se si considera quella in attesa di iscrizione a Ragusa dove, nel 2021, ben tre associazioni sono state cancellate per inattività. Nella provincia di Agrigento, invece, non risulta alcuna associazione iscritta all’albo prefettizio. Di fronte all’evidenza delle inchieste, poi è emerso come gli estorti abbiano spesso negato di essere vittime. In questo contesto, evidenzia la Commissione Ars, il racket “si è trasformato nel pagamento generalizzato di piccole somme che, a fronte di minori entrate, hanno garantito una certa acquiescenza da parte degli operatori economici tradottasi in una collaborazione quasi spontanea degli estorti”. Una mafia “meno pressante ma capillare, all’insegna del pagare meno ma pagare tutti”. Le audizioni hanno inoltre evidenziato la presenza di nuove forme di raccolta del pizzo, anche attraverso le forniture e i servizi, con gli stessi estortori che emettono fattura per le loro attività nei confronti degli estorti.

 

 

 

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