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Grande successo convegno “MONGIBEL gli altri Vini del vulcano”

A Petralonga, San Gregorio di Catania, si è costituito il Comitato promotore di un nuovo Consorzio per i Vini del vulcano

Il successo della viticoltura del nostro vulcano negli ultimi 20 anni ha ridato vigore alla produzione in zone dov’era esistita o sopravvive da secoli. Agli antichi vitigni autoctoni del nostro vulcano si affiancano oggi nuove varietà anche in zone e contrade meno conosciute. “MONGIBEL gli altri Vini del vulcano” nasce per dare visibilità ed aggregare viticultori accomunati esclusivamente dalla matrice vulcanica del suolo in ogni versante e quota.

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I relatori del convegno in foto partendo dalla sinistra: dott. Nicola Purrello, produttore socio fondatore MONGIBEL, dott. Alfio Nicotra, produttore, socio fondatore MONGIBEL, Prof.ssa Elisabetta Nicolosi, Università degli Studi di Catania, dott. Andrea Marletta enologo e agronomo, prof. Antonio Patanè, autore de “L’oro rosso dell’Etna”, prof. Danilo Trapanotto delegato ONAV Catania.

Dott. Nicola Purrello: “In ogni epoca, la bassa collina è stata il cuore storico della viticultura etnea. La nostra comunità di San Gregorio, ma lo stesso potrei dire per le altre comunità pedemontane di Mascalucia, Misterbianco, Belpasso, Santa Maria di Licodia, Biancavilla e Adrano del versante sud, e delle Aci, Giarre, Riposto e Mascali del versante est, tutti comuni che hanno sempre vissuto di viticultura. Solo a San Gregorio, nel 1929, si contavano ancora 300 ettari di vigneti e 830 palmenti attivi. La viticultura non è scomparsa da questi luoghi, ma si è presa a una pausa, perché non si può definire che “una pausa” un periodo di 30-40 anni, dopo un periodo di floridezza durato secoli, se non millenni. È una pausa che in alcuni luoghi sta finendo, e in altri è già finita, perché ad esempio qui nel comune di San Gregorio, dove ha rappresentato la vocazione e la storia di questi luoghi la viticultura, è già tornata. Saluto con grande affetto tutti i viticoltori colleghi che sono presenti questa sera, le cui storie a volte sono molto diverse. Alcuni di noi hanno, come nel mio caso, e della mia famiglia, ripiantato da poco la vigna in quelli che sono da generazioni i terreni famiglia. Altri colleghi, invece, prendono in mano o stanno per passare di mano la propria azienda, dai genitori o ai propri figli, quindi storie molto diverse. Veniamo ora ai quattro versanti, ognuno dei quali presenta differenze e sfaccettature che rendono interessante e unico il nostro territorio. Alcuni vigneti dei presenti sono nella bassa collina, come qui da noi, altri si spingono fino a 1200 m di quota, quindi, ci sono delle storie molto diverse. Ma ci sono anche tante cose che invece ci uniscono. Noi alla fine siamo tutti su uno stesso territorio vulcanico. Lavoriamo lo stesso suolo vulcanico, conserviamo e curiamo gli stessi muri a secco, recuperiamo i palmenti di famiglia. E lo dico con un po’ di emozione, raccontiamo le storie dei nostri nonni, dei nostri bisnonni, con grande orgoglio a chi ci viene a trovare. Quindi, pur provenendo da storie a volte diverse, siamo tutti i viticultori orgogliosi di quella che è la grande storia viticola di questo territorio. L’incontro di stasera serve per dare voce a delle questioni che abbiamo tante volte affrontato, magari a coppie, magari in piccoli gruppi, sull’idea di creare dei nuovi strumenti che permettano ai viticultori che operano in zone non ancora comprese in denominazioni d’origine di avere una riconoscibilità, oggi fondamentale per affrontare il mercato globale, che offra alle comunità pedemontane l’opportunità di uscire da questa pausa e di tornare alle proprie vocazioni. E non è solo una questione di viticoltura come attività agricola, ma anche una questione di tutela del territorio, perché i terreni oggi abbandonati, se recuperati a un uso agricolo non sarebbero incendiati nei mesi estivi e né diventerebbero luogo di discarica abusiva, un problema tragico dalle nostre parti. A nome dell’Associazione MONGIBEL porgo un saluto a tutti i presenti e agli amministratori comunali che sono intervenuti, da Mascalucia, Belpasso, Santa Maria di Licodia, Piedimonte Etneo, Misterbianco e al sindaco di San Gregorio. Molti altri non siamo riusciti a contattarli in tempo, ma contiamo di coinvolgere un po’ tutti, e ringrazio anche i relatori che hanno accettato l’invito”.

Dott. Alfio Nicotra: “Per prima cosa, vorrei focalizzare il tema di questa serata in cui costituiamo il Comitato promotore di un Consorzio per la costituzione di una nuova denominazione per i vini prodotti alle falde del nostro vulcano, che stasera chiameremo con l’antico nome di Mongibello, a scanso di confusione con la denominazione esistente. La nuova denominazione, che trova il suo comune denominatore nel suolo vulcanico a prescindere dalle quote altimetriche, si propone di recuperare proteggere valorizzare e divulgare l’antico patrimonio ampelografico del vulcano, che l’abate Geremia nel 1839 indica, al netto di sinonimi e omonimi, in una cinquantina di cultivar. Un mosaico di vitigni in cui si rispecchiava la storia millenaria dell’isola di Sicilia e della viticoltura etnea, quale somma di vitigni autoctoni e d’importazione attraverso i secoli, le dominazioni e gli scambi commerciali, di cui meglio ci diranno i nostri ospiti relatori. Recuperare l’eclettismo enoico tradizionale del vulcano significa valorizzare versanti, quote, contesti oggi privati della loro principale coltura tradizionale. Significa creare non solo nuovi orizzonti economici, ma paesaggistici ed enoturistici, offrendo una ritrovata ragione di cura, salvaguardia e tutela del territorio”.

Il prof. Antonio Patanè ci ha raccontato il tema del suo libro “L’oro rosso dell’Etna”, dove ha affrontato la storia e la cronaca della vitivinicoltura nel territorio orientale etneo da un punto di vista etnografico, antropologico e ampelografico; il suo desiderio è stato quello di tramandare pratiche locali di vita sociale intensamente vissuta e ormai completamente scomparse delle comunità che vivevano alle falde dell’Etna. Comunità che avevano nella viticoltura la loro prima ragione economica con questa ricostruzione ci ha riferito quali erano le produzioni di ogni comune, per quelli che oggi non hanno più una produzione vitivinicola paesi come San Gregorio, San Giovanni La Punta, Mascalucia, Giarre, Riposto, Mascali e tantissimi altri, per dare un’idea di un’area complessiva vitata.

La professoressa Elisabetta Nicolosi ci ha reso edotti che sull’Etna si coltivavano almeno cinquanta vitigni diversi alcuni dei quali oggi vengono recuperati con ricerche specifiche: i cosiddetti “vitigni reliquia” che altrimenti sparirebbero, ciò che li caratterizza sono le inedite peculiarità organolettiche tali da renderli riconoscibili e unici. Si tratta di vitigni autoctoni che fino al XX secolo hanno avuto una grande produzione nel territorio siciliano. Infatti, in seguito all’attacco della fillossera, la peste bubbonica della vite, la loro produzione è andata quasi completamente distrutta. Quindi sull’Etna non c’è soltanto mascalese o carricante ma una varietà di vitigni che possono dare una molteplicità di vini di qualità e che ogni quota, ogni versante, ogni contesto dal mare alle quote più alte, può dare un’ espressione nobile di viticulture.

Il dott. Andrea Marletta enologo e agronomo che ha curato la vinificazione di molti vitigni cosiddetti minori, come il nerello cappuccio in purezza, il catarratto in purezza, anche di internazionali come il sauvignon blanc, ci ha raccontato secondo la sua esperienza, che ogni vitigno dovrebbe essere coltivato secondo la sua vocazione, ovvero secondo la massima espressione di qualità. Ci sono vitigni che secondo la loro natura riescono meglio a bassa quota, altri ad alta quota. Altri prediligono una forte escursione termica, secco, umido, terreni prettamente vulcanici o terreni misti: insomma sperimentare secondo la volontà e il gusto del cliente va bene, ma il prodotto dev’essere di alta qualità, per trovare il giusto mercato in Italia e all’estero.

Il prof. Danilo Trapanotto, ha affermato che l’ONAV sta seguendo con molto interesse l’eventuale nascita di una nuova denominazione perché consapevole che l’Etna può essere un mosaico di terroir eccellenti con una molteplicità di vini eccellenti e che l’ONAV vigila affinché questo avvenga in funzione di qualità e garanzia per i consumatori.

 

 

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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