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HomeAttualità“Se ti porti via mio figlio, ti denuncio!”

“Se ti porti via mio figlio, ti denuncio!”

Così iniziò tutto. Ma non è né il primo né sarà certo l’ultimo caso.
Succede infatti assai spesso che successivamente alla fine della relazione affettiva dalla quale si è avuta prole, e nonostante in sede civile si siano emesse precise disposizioni in ordine all’affidamento, collocamento e diritto di frequentazione dei figli da parte del genitore non collocatario, la coppia ponga poi in essere condotte difformi da quanto statuito dal Tribunale, disponendo della prole come di una proprietà, strumentalizzandola contro l’ex partner, in spregio al benessere superiore dei figli stessi, ostacolandone così di fatto la sana crescita, ledendo il diritto alla bigenitorialità, e frustrando pesantemente i diritti del’ex partner cui viene di fatto impedito di fare il genitore.

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Nasce e prosegue così il conflitto, processuale e non, un conflitto che a volte può accompagnare anche per interi decenni la coppia, di fatto permeando tutta l’infanzia e adolescenza dei figli, trascinati tra consulenze, udienze, servizi sociali, giudizi su giudizi, accuse e difese, testimoni e ritorsioni, cui unico risultato è ledere pesantemente la prole, fulcro del contrasto tra due ex coniugi o ex conviventi, dimentichi spesso del danno enorme arrecato dalla loro personale immaturità (e non da quella legittima dei figli!).

Le liti poi possono proseguire – anche dopo la separazione e la fine del rapporto e quindi della convivenza – davanti ai figli stessi, a colpi di urla al telefono, messaggi verbalmente violenti, ed esternazioni con la prole poco felici: “Tuo padre non ha ancora pagato quindi non posso farti la ricarica al cellulare” o “Tua madre non ti sa comprare una maglietta decente con quello che le verso?”.
E così per anni, decenni.
E’ in questo scenario di conflittualità che si passa assai spesso alla denunce.

Normalmente, ci si sposta dall’omesso mantenimento (Rubricato violazione degli obblighi di assistenza familiare  – art. 570 c.p.), ai maltrattamenti anche solo psicologici (Maltrattamenti contro familiari e conviventi – art. 572 c.p.) con l’aggravante della c.d. violenza assistita, vale a dire il compimento di tali atti lesivi dell’altro dinnanzi ai minori che “assistono”, allo stalking, l’ingiuria, la diffamazione  – per lo più oggi a mezzo social – le minacce.

Ed in tale contesto, non si manca mai di eccepire la violazione dell’art. 388 c.p., rubricato “Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”, lì dove si è in possesso di un provvedimento (anche provvisorio, che statuisca il quantum del mantenimento da corrispondersi mensilmente in favore dell’ex e/o della prole, i giorni e tempi di frequentazione per il genitore non collocatario dei figli, l’affido dei medesimi) ed esso non venga anche solo in parte, rispettato o esattamente rispettato.

La giurisprudenza che si è espressa con riferimento a questo filone di conflittualità familiare è davvero corposa.

In questi contesti di assenza di rispetto, dialogo e riconoscimento della figura dell’altro, può anche accadere che, del tutto arbitrariamente e unilateralmente, e quindi senza consenso alcuno da parte del genitore non collocatario, il genitore presso il quale i figli hanno la stabile residenza decida di trasferirsi altrove, incluso in un’altra città rispetto a quella del genitore non collocatario, con la conseguenza di “sottrarre” la prole, impedendo di fatto all’ex di esercitare con regolarità i proprio diritti connessi alla genitorialità.

E’ il caso trattato e definitivamente deciso dalla sesta sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 32005 depositata appena ieri, 30 agosto 2022.

La pronuncia ha un valore giuridico non indifferente, perché nel caso descritto, in luogo di ritenersi violata la norma dell’art. 388 c.p. per avere, il genitore che ha arbitrariamente allontanato la prole, disatteso le regole fissate con precedente provvedimento dal Giudice civile, si è ritenuta realizzata un’ipotesi di vera e propria sottrazione di incapace/minore, prevista dall’art. 574 c. p.

Il Giudice di Legittimità ha ritenuto che, nel caso che ci occupa, la condotta della madre che ha recato con sé il figlio a centinaia di chilometri dal padre, senza autorizzazione e consenso di quest’ultimo, e senza un provvedimento autorizzativo del Giudice, integra il più grave reato di cui all’art. 574 c.p. (sottrazione di incapace) e non quello previsto dall’articolo 388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), atteso che così agendo, la donna ha di fatto escluso la possibilità da parte del padre di esercitare i suoi diritti sulla prole, a nulla rilevando in tal caso che egli conoscesse il luogo della nuova residenza.

L’indirizzo giurisprudenziale così espresso dalla Suprema Corte non è nuovo; vi erano già state altre pronunce che deponevano per l’applicazione dell’art. 574 c.p. in luogo dell’art. 388 c.p., lì dove un genitore, contro la volontà dell’altro, allontani, conduca con sé e dunque di fatto sottragga il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo all’altro genitore l’esercizio della piena responsabilità genitoriale (Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 28561/2018, Rv. 273545).

Ma la pronuncia di ieri rende definitivamente chiaro come i contenuti precettivi delle disposizioni di cui all’art. 574 e all’art. 388 codice penale, in tema di rapporti familiari, non possono essere considerati interscambiabili tra loro, ma hanno portata e significato profondamente diverso.

Ed infatti, ove la doglianza del genitore leso riguardi particolari disposizioni del giudice civile (per es. sul mantenimento o sulle modalità di espletazione della frequentazione, discutendosi sulla quantità e durata delle visite) dovrà ritenersi configurabile il delitto di mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice (ex art. 388 c.p.); se, invece, la condotta di uno dei coniugi porta ad un’assoluta sottrazione del minore, con coatto allontanamento, dal quale discenda l’indisponibilità ed impossibilità dell’esercizio dei diritti di visita e frequentazione del genitore non collocatario, così da impedirgli non solo l’esercizio della sua responsabilità educativa, ma da rendergli impossibile anche la vicinanza fisica, emotiva e quotidiana, senza che tale azione sia stata regolamentata ed avallata dall’altro o dal Giudice, realizzandosi una seria lesione del diritto alla bigenitorialità, nonché contravvenendo all’interesse del minore e della società, in tal caso ricorre il reato di cui all’art. 574 cod. pen. (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 12950/1986, Rv. 174333) che al primo comma così recita: “Chiunque sottrae  un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la responsabilità genitoriale, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni”.

Dopotutto, il diritto alla bigenitorialità, in uno con la tutela dell’interesse del minore a potere contare sempre su entrambe le figure genitoriali anche se esse non costituiscono più tra loro “coppia”, è tema fortemente tutelato anche dalla Corte Europea dei Diritti Umani che ravvisa in tali condotte la violazione dell’art. 8 Conv.

 

Avv. Cettina Marcellino

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Cettina Marcellino
Cettina Marcellino
"Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell'assistito [...]"
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