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Made in Italy: fa gola, da Gucci a Saras, i brand e le imprese finiti in mani estere

Saras è solo l’ultima società a veder passare il controllo a un gruppo estero, molti i grandi nomi del Bel Paese la cui proprietà è stata ceduta totalmente o in parte

Saras è solo l’ultima società italiana a veder passare il controllo a un gruppo estero. Sono molti i grandi nomi del Made in Italy, simbolo del Belpaese nel mondo, la cui proprietà non parla più italiano, perché in mano a fondi di investimento, gruppi o holding internazionali in parte o totalmente. Dal lusso all’automotive, nessun settore è stato risparmiato. A fare shopping di marchi importanti, negli ultimi anni, è stata l’Asia, e in particolare la Cina (a fine 2019 in Italia 405 gruppi cinesi vantavano partecipazioni in oltre 700 imprese italiane) ma nel risiko di acquisizioni il settore del lusso e fashion è stato sicuramente quello dal bottino più ghiotto. E’ il caso della Francia, che non ha risparmiato diversi brand del Made in Italy, come Fendi.

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La maison romana viene acquistata nel 2001 dal colosso francese Lvmh di Bernard Arnault. Anche Gucci nel 1999 passa nelle mani di François-Henri Pinault di Kering, che controlla anche le italiane Brioni, Pomellato, oltre a Bottega Veneta, Richard Ginori e Dodo, mentre il ‘rivale’ Lvmh fa incetta di marchi italiani come Emilio Pucci, Acqua di Parma, Bulgari e Loro Piana. Anche Versace, dal 2018, non parla più italiano. La griffe della Medusa, fondata nel 1978 da Gianni Versace, viene acquistata dagli americani Michael Kors e Capri Group, quest’ultimo rilevato nel 2023 da Tapestry per 8,5 miliardi di dollari.

 

Anche Valentino, nel 2012, finisce nella mani del gruppo Mayhoola for Investment, società del Qatar mentre Coccinelle è dei coreani di E-Land Mazzieri, gli stessi che detengono Mandarina Duck. Sergio Rossi, storico brand del calzaturiero italiano passa nel 2021 in mano al gruppo finanziario cinese Fosun. Ed è cinese anche Krizia, dal 2014 nell’orbita della Shenzhen Marisfrolg Fashion Co Ltd. C’è poi Rinascente, che nel 2011 viene acquisita da Central Retail Corporation, il Gruppo thailandese leader nel settore della distribuzione e dei department store nel Sud-Est Asiatico. I gioielli Buccellati nel settembre 2019 diventano invece di proprietà del gruppo svizzero Richemont, dopo essere stati dal 2017 di proprietà del gruppo cinese Gangsu Gangtai Holding. Quanto al marchio di abbigliamento sportivo Sergio Tacchini, dopo la bancarotta del 2007 e diversi cambi di proprietà, finisce nel portafogli del gruppo di abbigliamento sudcoreano F&F del miliardario Kim Chang-soo che acquisisce il 100% del capitale di Sergio Tacchini operations.

 

 

Non è solo il lusso ad essere protagonista di vendite fuori dai confini nazionali. Tanti i club calcistici (come A.S. Roma, Inter, Milan), l’automotive e il food al centro di passaggi di proprietà rilevanti. Il gruppo italiano degli pneumatici Pirelli, fondato a Milano nel 1872 da Giovan Battista Pirelli, nel 2015 diventa a maggioranza cinese, nel 1998 le auto Lamborghini passano in mano ai tedeschi di Volkswagen, la Ansaldo Breda, società che operava nel settore della costruzione di veicoli ferroviari nel 2015 cede il ramo di azienda ferroviario alla giapponese Hitachi. Nel 2018 tocca a un’altra azienda storica passare sotto il controllo estero: la Magneti Marelli. L’azienda viene ceduta da Fca per 5,8 mld di dollari alla giapponese Ck Holdings controllata da KKr.

Anche nel settore delle due ruote lo shopping non è leggero. Nel 2005 i cinesi del gruppo Qianjiang acquistano la Benelli per 6,3 milioni di euro. Nel 2012 tocca alla Ducati finire nel portafoglio del gruppo Wolskwagen per 860 milioni di euro, ceduta da Investindustrial. Sei anni più tardi la Malaguti, dopo aver cessato la produzione nel 2011 ma aver continuato a gestire la vendita dei ricambi, getta la spugna e dà la licenza di uso al gruppo austrico Ksr Group, che detiene in portafoglio un altro marchio famoso: la Lambretta. Finisce nello stesso anno anche il tentativo di rilanciare la Moto Morini da parte della famiglia Jannuzzelli. Lo storico marchio viene acquisito dal gruppo cinese Zhongneng Vehicle per 10 milioni di euro. A prendere la via estera, ma in direzione Russia, è anche la storica Mv agusta: nel 2019 Timur Sardarov sale al 100% del capitale, cedendo poi il 25% alla Ktm.

Per non parlare poi della la tormentata vicenda dell’ex Alitalia, ora Ita Airways, alle prese con lo slittamento del via libera Ue all’accordo con Lufthansa. Ad Abu Dhabi nel 2014 trova casa Piaggio Aerospace, mentre nel 2015 Pininfarina diventa indiana con Mahindra. E’ un caso a parte la storia della Barilla, dove l’omonima famiglia è alla guida del gruppo da quattro generazioni. Nel 1971 i fratelli Pietro e Gianni Barilla, per ragioni familiari e legate al periodo storico-sociale, decidono di vendere l’azienda alla multinazionale americana Wr Grace. Barilla rimane sotto la gestione della Grace fino al 1979. Dal momento della vendita e per tutti gli 8 anni successivi, il pensiero fisso di Pietro Barilla è “come riprendersi l’azienda”. Così, nel 1979, firmando una case history speciale nel mondo del business, Pietro Barilla riesce a riacquisire l’azienda, che da allora resta nelle mani, italiane, della famiglia.

 

Nel food, tuttavia, non è sempre così. Nestlé acquista Buitoni e Perugina. Nel 2014 la pasta Garofalo annuncia l’ingresso nel capitale con una quota del 52% degli spagnoli di Ebro, stessa multinazionale che controlla anche Riso Scotti. Anche Parmalat passa nel 2011 ai francesi di Lactalis, che detiene anche Galbani e Invernizzi. La birra più italiana del mondo, Peroni, viene acquistata dai giapponesi Asahi. Ma non solo. Il gruppo Heineken punta molto sull’Italia e rileva Birra Moretti, Messina, Dreher e l”anima sarda’ Ichnusa. A metà degli anni 90 controlla già il 38% del mercato del Bel Paese.

E sempre nel beverage un’icona come la Lemonsoda è venduta dal gruppo Campari alla danese Royal Unibrew per 80 milioni di euro. Un altro caso degli ultimi anni riguarda lo zucchero genovese Eridania, dal 2016 in mano ai francesi. All’estero volano anche i cioccolatini Pernigotti, prima in mano ai turchi Toksoz e poi rilevati da Jp Morgan. Parlano spagnolo, invece, gli oli Bertolli, Carapelli, Sasso, San Giorgio, Giglio Oro, di proprietà di Deoleo, mentre la Star nel 2007 entra a a far parte del gruppo internazionale Gallina Blanca Star, controllato al 100% dal gruppo spagnolo Agrolimentare.

Escursioni di gruppi esteri anche nel settore del cemento, con il passaggio del 45% di Italcementi dei fratelli Pesenti al gruppo HeidelbergCement per 1,67 miliardi. E anche l’industria del bianco continua a perdere pedine importanti: nel 2014 Whirlpool si porta a casa il 60,4% del capitale di Indesit in un’operazione da 758 milioni di euro e quattro anni dopo tocca alla Candy finire ai cinesi di Haier per 475 milioni di euro. Insomma, il made in Italy ha sempre fatto e continua a fare gola alle aziende estere su tutti i settori.

 

 

 

 

 

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