Eco e Narciso è un dipinto del 1903 di John William Waterhouse, che ci racconta l’episodio narrato dal poeta latino Publio Ovidio Nasone nelle “Le metamorfosi”
Waterhouse è stato un pittore inglese dell’ottocento è stato classificato come un preraffaellita, ma forse è meglio rappresentato come esponente del neoclassicismo. Con oltre 200 opere che riguardano la mitologia classica e soggetti storici o letterari, uno dei suoi temi abitudinari è la “femme fatale”, ossia la donna che irretisce un uomo. “Eco e Narciso” è uno dei quadri appartenente alla serie del genere mitologico.
Il mito secondo Ovidio: Narciso era il figlio del dio fluviale Cefiso e della naiade Liriope. I suoi genitori vennero già “comunicati” che il loro figlio sarebbe vissuto fino a tarda età, ma solo se non avesse guardato sé stesso nel suo sembiante. Divenne bellissimo e fascinante adolescente, respingendo non solo tutte le ninfe, ma anche le donne e gli uomini che si innamoravano di lui. Una di queste innamorate era la ninfa Eco che rimase talmente sconvolta dal suo rifiuto, che si consumò totalmente d’amore, riducendo il proprio corpo fino a che non rimase altro che un sibilo, soltanto l’eco, del suo amore. Ma quando le preghiere di vendetta e maledizione di tutti coloro che Narciso aveva rifiutato vennero udite dalla dea Nemesi, Narciso venne condannato ad innamorarsi di sé stesso riflesso nel “suo” specchio d’acqua. E così Narciso continuò a rimirarsi sdraiato fino alla morte.
Ma raccontiamo di Eco, che si trova nel dipinto di Waterhouse, la ninfa della montagna che, alla sola volta che lo vide, s’innamorò perdutamente di lui. Narciso che era così fiero e superbo riguardo la propria bellezza, non si poteva occupare di una ninfa. Eco da quel giorno seguì Narciso dovunque andasse, anche guardandolo da lontano. L’amore e il dolore la consumarono: cosicché il sangue le si sciolse nelle vene, il viso le divenne così bianco come la neve: il corpo della splendida ninfa divenne così trasparente che non proiettava più nemmeno un’ombra sul suolo. Afflitta dal dolore, Eco si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna. Con la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti il suo amato. Rimasero solo le ossa e la voce, la stessa forma della cava roccia ove il suo corpo era rannicchiato e visse l’eco del suo richiamo inutile perché Narciso, che sentiva l’angoscioso richiamo, non ritornò mai. Narciso non ne fu affatto addolorato e continuò la sua vita appartata. Intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine. Come abbiamo detto prima la Dea Nemesi. Ognuno ha la sua Dea Nemesi. Che sarebbe la Dea dei “peccati” relativi alle azioni effettuate.
Ma nel quadro in questione tutto questo già sta avvenendo o è già avvenuto: il superbo giovinetto ha visto per la prima volta riflessa nell’acqua limpida l’immagine del suo viso. Se ne è innamorato perdutamente. Nel quadro lui si vede e si riflette, fuori sulla riva ci sono i Narcisi , i suoi fiori, ma ci sta pure Eco che lo guarda riflesso: è la nuova donna che non vuole più fare da eco all’uomo orientato su sé e stesso: l’uomo di fine ottocento che esiste solo perché fallocentrico in un ottica decadente. La ninfa Eco lo guarda per dire :“Hai finito di essere solo uno specchio di te stesso”.
Se volete sapere come la storia ha avuto inizio consultate questo articolo.
