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Migranti: tornano a dividere l’Ue, ma ora Polonia e Ungheria sono più sole

Le migrazioni tornano a spaccare il Consiglio Europeo, ma molto meno di qualche anno fa, quando il tema era talmente divisivo che faticava persino ad approdare al tavolo dei leader. Questa volta, le divisioni tornano a Bruxelles, ma sono limitate: Polonia e Ungheria, due Paesi su 27, hanno bloccato le conclusioni dei leader sulle migrazioni, che vertevano sulla dimensione esterna, segnalando così il proprio disappunto per l’approvazione a maggioranza qualificata, nel Consiglio Affari Interni a Lussemburgo, di un testo chiave del nuovo patto per le migrazioni, la posizione negoziale del Consiglio sul regolamento sulla gestione delle migrazioni e l’asilo, che prevede la solidarietà obbligatoria da parte degli Stati Ue per un Paese sotto pressione.

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E’ obbligatoria però solo la solidarietà, non i ricollocamenti, diversamente da quanto ha detto il ministro polacco per l’Ue, Szymon Szynkowski Vel Sek: i “ricollocamenti obbligatori” per Varsavia sono una “linea rossa” che non va oltrepassata, ha rimarcato. In alternativa ai ricollocamenti, secondo la posizione del Consiglio, si possono versare soldi, 20mila euro per ogni migrante non ricollocato, oppure fornire assistenza tecnica al Paese in difficoltà. In Polonia, però, ci sono le elezioni in autunno e il premier Mateusz Morawiecki, spalleggiato dall’ungherese Viktor Orban, ha preso ‘in ostaggio’ le conclusioni, costringendo Charles Michel ad approvare conclusioni della presidenza, che non danno indirizzi politici all’Ue, a differenza delle conclusioni del Consiglio Europeo.

 

 

Le conclusioni sono state bloccate nella notte da polacchi e ungheresi, che di fatto hanno ‘sequestrato’ un testo che verteva sulla dimensione esterna, sulla quale in teoria dovrebbero concordare (come hanno fatto notare diversi leader nella discussione, riferiscono fonti Ue), per segnalare il loro disappunto per un torto che ritengono di avere subito relativamente alla dimensione interna. Anche stamani la premier Giorgia Meloni e l’olandese Mark Rutte hanno cercato di mediare, ma non c’è stato modo di convincere il duo Orban-Morawiecki.

 

Diversi leader hanno chiesto a Meloni di provare ad ammorbidirli, dato che è presidente dell’Ecr, il partito europeo cui aderisce il Pis polacco, di cui fa parte Morawiecki, e che ha buoni rapporti con l’ungherese Viktor Orban (il cui partito, Fidesz, non fa parte dell’Ecr): “Nonostante capissi perfettamente le posizioni di Polonia e Ungheria – ha spiegato la premier – ho tentato, con il consenso di tutti gli altri Paesi, una mediazione fino all’ultimo. Continuiamo a lavorarci, sarò a Varsavia mercoledì. La questione che pongono polacchi e ungheresi non è peregrina, perché Polonia e Ungheria sono le due nazioni che in Europa si stanno occupando di più dei profughi ucraini. Lo fanno con risorse da parte della Commissione che sono insufficienti”.

Anche Rutte, che con Meloni e Ursula von der Leyen è stato recentemente in missione in Tunisia, si è speso per mediare, insieme a Meloni: “Pensavamo entrambi – ha spiegato il premier olandese – che sarebbe stato positivo se le conclusioni sulla dimensione esterna delle migrazioni fossero state adottate, anche se non è un disastro” avere conclusioni della presidenza, perché, “anche senza conclusioni, tutto quello” che è già in campo “va avanti”. E la “partnership” che dovrebbe essere siglata con la Tunisia è un modello che “può essere replicato con altri Paesi”. Ungheria e Polonia hanno voluto “usare questo momento” per sottolineare il “punto politico” che “sono molto arrabbiati, perché il Consiglio Affari Interni ha deciso a maggioranza qualificata” la posizione negoziale sul regolamento sulla gestione della migrazione e l’asilo.

 

Una cosa è chiara a tutti, che i numeri degli arrivi irregolari di migranti devono calare. Per questo, ha spiegato Michel, tra i leader c’è “un sostegno molto forte” per lavorare sulla “dimensione esterna” delle migrazioni, come si sta tentando di fare con la Tunisia, lavorando nella logica del partenariato con i Paesi di arrivo e di transito, per limitare le partenze e creare canali legali di arrivo. Se i numeri degli arrivi irregolari non caleranno, il patto per le migrazioni non potrà funzionare, perché i ricollocamenti che dovranno essere messi a disposizione ogni anno non sono infiniti: “C’è un modo solo per risolvere il problema per tutti, ed è affrontare i movimenti primari, perché altrimenti diventa impossibile affrontare quelli secondari”, ha rimarcato la leader di Fdi.

Malgrado la mancata approvazione delle conclusioni del Consiglio Europeo in materia di migrazioni, ha sottolineato Meloni, il patto che prevede la solidarietà obbligatoria “non esce ammaccato, perché non era in discussione al Consiglio” Europeo, a livello di leader. “E’ stato già discusso” nel Consiglio Ue, cioè a livello di ministri, dove è passato a maggioranza qualificata e “non è un tema che si riapre”. Ora il testo del patto Ue sull’asilo andrà negoziato con il Parlamento Europeo, ma una volta che il regolamento sarà approvato sarà legge in tutta l’Unione. Polonia e Ungheria, però, sono ossi duri: è da vedere se questa volta la rispetteranno. Dopo la crisi migratoria del 2015-16, la Commissione Juncker fu sconfitta sui ricollocamenti obbligatori, che voleva imporre con un sistema di ripartizione tratto dalla cassetta degli attrezzi delle quote di pescato. Il gruppo di Visegrad si oppose, rifiutandosi di ricollocare richiedenti asilo, con la comprensione se non l’appoggio dell’allora presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, polacco.

La Commissione dovette fare marcia indietro, rinunciando di fatto a punire i ‘reprobi’. Si vedrà se stavolta l’Ue riuscirà ad imporre a Polonia e Ungheria una solidarietà che finora hanno sempre rifiutato di fornire ai Paesi di primo arrivo.
(Tog-Ant/Adnkronos)

 

 

 

 

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