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Reddito cittadinanza a killer Livatino, in passato beneficio anche ad altri mafiosi: la scheda

Roma, 19 nov. – Dalla Sicilia alla Calabria, passando per la Puglia, il reddito di cittadinanza fa gola anche ai mafiosi, come conferma l’ultimo caso scoperto dai finanzieri ad Agrigento, dove fra chi usufruiva dell’aiuto economico c’erano anche persone condannate per associazione mafiosa, traffico di droga, furto e persino uno degli esecutori dell’omicidio del magistrato Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990.

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Soltanto ieri i finanzieri del comando provinciale di Siracusa hanno denunciato 24 persone che hanno percepito indebitamente il reddito di cittadinanza per un ammontare complessivo di oltre 200mila euro: fra questi 11 appartenenti a noti clan del siracusano e detenuti per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tentato omicidio e rapina. Nel settembre scorso poi, la Guardia di Finanza di Agrigento ha sequestrato 11 social card ad altrettante persone , tutte con precedenti per reati di tipo mafioso: il danno accertato per le casse pubbliche in questo caso è stato di 300 mila euro. Lo scorso luglio i finanzieri di Corleone hanno scoperto e denunciato un 48enne che aveva chiesto e ottenuto il beneficio economico: l’uomo però era stato arrestato nel 2011 insieme al fratello di Totò Riina e poi condannato per associazione mafiosa.

E’ dello scorso 20 maggio poi la maxi operazione ‘Mala Civitas’ condotta dalla Gdf di Reggio Calabria con la quale sono stati denunciati oltre centro ‘ndranghetisti delle maggiori cosche che erano riusciti a ottenere il reddito di cittadinanza. Tra di loro anche esponenti di spicco delle più note famiglie di ‘ndrangheta attive nella piana di Gioia Tauro e nella Locride. Tutti sono stati segnalati all’Inps per l’avvio del procedimento di revoca dei benefici ottenuti, con il conseguente recupero delle somme già elargite che ammontano a circa 516mila euro.

Dalla Calabria alla ‘mala’ pugliese: lo scorso 15 settembre la Guardia di Finanza di San Severo, in provincia di Foggia, ha scoperto e denunciato 30 mafiosi che percepivano il reddito di cittadinanza pur non avendone diritto, o avendolo solo in parte, tra cui anche detenuti per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, rapina, evasione. In questo caso il danno economico all’erario è stato di circa 200 mila euro.

“Provo una forte delusione, mi sento tradito dallo Stato. Fatti come questi non onorano la memoria e il sacrificio di Rosario Livatino e di quanti hanno versato il sangue per questo Stato”. E’ lo sfogo di don Giuseppe Livatino, cugino e postulatore della causa di beatificazione di Rosario Livatino, il giudice ucciso il 21 settembre del 1990, dopo avere saputo che la famiglia di uno dei killer del magistrato ammazzato da Cosa nostra prendeva il reddito di cittadinanza. “Penso anche a tutte le altre defaillances delle istituzioni, agli scandali come questo. Tutto questo non va bene – dice don Livatino in una intervista esclusiva all’Adnkronos – non onora la memoria di mio cugino e di tutti coloro che hanno perso la vita per lo Stato, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”.

“Un sacrificio – dice ancora don Giuseppe Livatino – che non è andato perduto, ma serve maggiore attenzione da parte dello Stato, serve più vigilanza”. A scoprire che anche la famiglia di uno degli esecutori dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, condannato a sette ergastoli in via definitiva per omicidio, associazione per delinquere di stampo mafioso prende il reddito di cittadinanza sono stati i militari della guardia di finanza del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Agrigento che ha denunciato diverse persone ed eseguito il sequestro preventivo di otto card. Tutte le posizioni illecite emerse dagli accertamenti delle Fiamme gialle sono state segnalate all’Inps per la revoca e il recupero del beneficio economico. Secondo una prima stima degli investigatori, il danno per le casse pubbliche sarebbe di circa 110.000 euro. “Serve un po’ più di attenzione rispetto al sangue versato e ai sacrifici fatti da questi uomini dello Stato – dice ancora don Giuseppe Livatino – non mi riferisco solo al reddito di cittadinanza percepito in maniera impropria da un killer. Ma parlo anche dell’utilizzo dei beni appartenuti alle cosche mafiose”. Per il cugino del giudice assassinato dalla mafia “ci sono delle falle, qualcosa che non funziona”.

“Abbiamo sentito anche la notizia di Libera Terra – aggiunge – anche lì otto anni di oppressione da parte di pastori che di fatto si erano impadroniti di terreni. Evidentemente va rivisto qualcosa, anche nel reddito di cittadinanza”. “Abbiamo visto al di là del reddito percepito dal boss molti servizi che ci dicono che con le card vanno a comprare vestiti, persino materiale pornografico. Insomma, ribadisco, c’è qualcosa che non funziona. Servono maggiori controlli”. “Non possono essere sprecate le risorse dello Stato -dice ancora don Livatino – Anche Papa Francesco ha detto che c’è bisogno di lavoro ed non di reddito di cittadinanza. Forse dovremmo smetterla di inventarci soluzioni che possono servire a captare qualche voto da parte degli elettori. Sono strategie già viste e riviste e, tra l’altro, non efficaci per la ricerca del consenso”. Intanto procede il processo di beatificazione di Rosario Livatino. “E’a Roma dal 7 ottobre 2018 – dice don Livatino – so che stanno valutando le testimonianze”. Giovanni Paolo II aveva nel 1993 aveva definito Livatino, durante la sua visita ad Agrigento, “martire della giustizia e indirettamente della fede”. Quel giorno lanciò il suo anatema contro i mafiosi. E, intanto, uno dei suoi killer prendeva il reddito di cittadinanza.
(Adnkronos/Elvira Terranova)

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