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Appunti diVini: Mario Di Lorenzo presidente del Consorzio DOC di Monreale

Costituitosi nel 2000, il Consorzio rappresenta l’unione ideologica di diverse aziende che decidono di fare sistema. Una comunione d’intenti che ha portato, oggi, alla creazione di un disciplinare, incentrato sugli obiettivi della salvaguardia degli ambienti vinicoli e la valorizzazione del territorio. La Doc Monreale è la denominazione più estesa della provincia di Palermo e comprende un’ampia area della Sicilia nord occidentale. Un angolo di Sicilia nell’area collinare a sud della città di Palermo che trae origine dell’antica e potente Diocesi di Monreale che, in epoca normanna, raggiunse il suo massimo splendore

Sono Susanna Basile e vi racconto subito qual è la mission di Appunti diVini, di questa trasmissione, che è quello di fare conoscere tutti coloro che si occupano a diverso titolo del mondo del vino, quindi produttori, enologi, consorzi, le strade del vino, ma non solo della Sicilia, del nord, sud, est e ovest dell’Italia. E non solo del vino, ma anche dell’olio e della birra. Io faccio la psicologa, quindi mi piace anche approcciarmi alle famiglie del vino, dell’olio e della birra, perché quello che ci interessa è anche il cambio generazionale, il passaggio dall’analogico al digitale.

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Sono tutta una serie di nuove manifestazioni che riguardano veramente il futuro del vino. E poi un’altra mission che abbiamo è quella di fare conoscere queste persone in momenti informali.

Sarà anche questo un argomento di conversazione con Mario a proposito del fatto che il vino finalmente oggi dà la possibilità anche a tantissimi giovani di lavorare a casa loro, nel loro territorio, e non di farlo in maniera, diciamo così, da ripiego, ma di lavorare in maniera professionale ed essere felici di quello che fanno appassionati. Mario Di Lorenzo, presidente del Consorzio Monreale, nonché proprietario e produttore di Feudo di Sisa, ci racconterà un poco di storie che riguardano il vino e la sua zona.

 

Susanna Basile: Com’è iniziata questa storia della Doc Monreale?

Mario Di Lorenzo: La Doc Monreale nasce nel 2000, il Consorzio della Doc Monreale. Io dico sempre che nasce più per motivi, per una spinta politica, però è anche vero che abbiamo un background storico importante. Il nostro è un territorio dove da sempre si è fatto vino, però, diciamo, ci si appoggiava più su territori, su doc limitrofe, quali la Doc Alcamo, che in parte addirittura si sovrappone col nostro territorio, ma comunque è veramente quella più prossima. Però, diciamo che nel 2000, tramite la spinta politica del sindaco di Monreale di allora, che era Salvino Caputo, con l’unione di alcune cantine che in quel periodo erano abbastanza attive, hanno fondato il Consorzio Doc Monreale.

 

Un consorzio che comprende un territorio molto vasto, considerato che già Monreale di suo è un territorio, forse il secondo più esteso in Sicilia. Ed è così esteso perché erano tutti i possedimenti della chiesa dell’arcivescovado di Monreale.

Sì, sì, ma è proprio questo. La chiesa di Monreale era una chiesa molto potente proprio perché aveva tutti questi territori, tutti questi territori a cui faceva capo, e quindi oggi noi come Doc Monreale ci ritroviamo con una buona parte del territorio di Monreale, ma in più abbiamo i territori di Santa Cristina Gela, Piana degli Albanesi, Camporeale, Corleone, San Cipirello e San Giuseppe Iato e Roccamena. Quindi capisci bene che è un territorio molto vasto, tutto all’interno della provincia di Palermo. La DOC è nata, io dico sempre, per motivi politici perché si è cercato di comprendere un po’ tutti i comuni, i viticoli che avevano appunto vigne in quel periodo, ma soprattutto poi si è inserito un po’ tutti i vitigni che in quel periodo facevano parte delle coltivazioni di quel periodo, e quindi noi ci siamo ritrovati con un disciplinare che comprendeva qualcosa come 15, 16 diverse varietà con un territorio molto vasto, il che io poi sono presidente ormai della DOC da circa 12 anni, un tempo molto lungo, ma devo dirti che le prime degustazioni che andavamo a fare ci trovavamo insieme con… eravamo otto aziende, ognuna che aveva un vino diverso.

 

Territorio molto vasto, vitigni diversi, ci si trovava a confrontarsi con vini che avevano poco in comune, e diciamo io qua giusto andando un po’ sulla parte più tecnica, nel tempo abbiamo fatto un lavoro con i soci del consorzio di andare a limitare, visto che il territorio non poteva essere toccato, a limitare almeno i vitigni e a limitare a quelli che sono per noi le eccellenze, e quindi abbiamo modificato, non senza difficoltà. Mettersi d’accordo non è mai facile, perché poi ognuno ha sempre una visione differente, però diciamo che l’idea qual era? Il territorio è vasto, limitiamo almeno a pochi vitigni che rappresentano l’eccellenza, e quindi in questo senso noi abbiamo ridotto a pochi vitigni, che sono il catarratto che può essere utilizzato in blend con l’insolia, il perricone che può essere utilizzato in blend col nero d’avola e il sirah, significa che noi praticamente abbiamo lasciato fuori completamente il grillo, abbiamo lasciato fuori il nero d’avola in purezza, ma questo perché? Perché comunque oggi quando noi andiamo a presentarci in una degustazione fra tutti i produttori, ci presentiamo con dei vini che hanno qualcosa in comune, e quindi un consumatore che oggi beve una Doc Monreale, trova un vino che sia coerente da un’azienda ad un’altra, e questo secondo me è una cosa molto importante oggi.

Susanna: Ci sono appunto alcune regioni che hanno fatto di questa scelta che avete fatto voi una propria bandiera, no? Cioè ci sono regioni dove vengono coltivate soltanto i vitigni di un certo tipo in quella zona, no? Per esempio, facevo questo esempio il relatore AIS, a proposito del fatto che in Sicilia c’è il nero d’avola e il carricante da tutte le parti, cioè non ci sono zone areali dove si coltiva solo quello, come fanno al nord. Quindi voi, il fatto che avete fatto questa scelta mi viene da dire sul grillo, che chiaramente è molto del Trapanese, avete già fatto un passo avanti da questo punto di vista, sicuramente.

 

Mario: Considera che nel nostro vecchio disciplinare avevamo varietà, che secondo me aveva poco senso, quali il Pinot Bianco, quali il Sangiovese, che è una varietà toscana, che in quel periodo probabilmente in Sicilia qualcuno l’aveva e quindi si era pensato di mantenerla, però ecco secondo noi oggi che c’è rispetto a venticinque anni fa una cultura sul vino migliore, oggi il consumatore capisce molto più di vino e quindi è giusto dargli qualcosa che sia coerente col nostro territorio.

 

Noi abbiamo scelto il catarratto che è il vitigno storico del nostro territorio, in blend eventualmente con l’insolia, perché è un’altra di quelle varietà che nel nostro territorio c’è sempre stata. Il perricone, che è un vitigno che è nato fra il territorio di Monreale e Marsala, ma che da noi ha trovato veramente delle condizioni pedoclimatiche importanti. E poi il Sirah, che diciamo è l’unica delle varietà che abbiamo lasciato, che è l’unica internazionale, ma che veramente nel nostro territorio ha trovato delle condizioni pedoclimatiche ideali per crescere, tant’è che indubbiamente oggi i migliori Sirah dell’isola vengono fuori dal nostro territorio. Anche perché su questo abbiamo ragionato anche con altri specialisti. Dopo tantissimi anni e anche gli internazionali, chiaramente internazionali consoli, non il Sangiovese, ma un vitigno come il Sirah, assumono le caratteristiche del territorio.

 

Susanna: Vengono definiti internazionali solo perché sono stati importati all’epoca, ma poi alla fine il vitigno esprime il territorio. Per quanto riguarda la bontà mi hanno detto tutti quanti che per fare un vino cattivo oggi ci vuole, come si dice, un grande impegno, perché i vini vengono tutti buoni. Però un vino riconoscibile è quello che fa la differenza dell’eccellenza, giusto? Assolutamente.

Mario: Oggi, io sono d’accordo con te, per fare vino non buono ce ne vuole. È chiaro che noi dobbiamo fare un passo avanti, noi dobbiamo cercare di produrre dei vini che siano rappresentativi di un territorio. Perché il Sirah? Il Sirah, che è uno di quei vitigni, noi chiamiamo internazionali, perché nella metà degli anni Ottanta è cominciata la sperimentazione con questi vitigni internazionali, che sono stati provati in tempi diversi in varie zone dell’isola. Il Sirah, nel nostro territorio, ha trovato delle condizioni pedoclimatiche ideali, e quando parlo di condizioni pedoclimatiche intendo sicuramente i suoli, perché da noi abbiamo dei suoli, nel nostro territorio, dei suoli che sono mediamente argillosi. Le altitudini, perché il territorio dell’areale di Monreale è un territorio che parte, diciamo, da una zona collinare prevalentemente, perché sì, si arriva fino a un centinaio di metri sul livello del mare, ma si arriva fino a sette, ottocento metri.

 

Ma la maggior parte dei nostri vigneti sono in zone che vanno dai 300 ai 600 metri, quindi una zona collinare che hanno sempre delle escursioni termiche importanti, che quindi significa che quando in estate noi abbiamo ovviamente il caldo siciliano che arriva ai 35-40 gradi, ma con delle escursioni termiche tali che la sera comunque le piante traggono respiro da questo calo di temperatura che può arrivare anche a 15-20 gradi e poi è una zona eh sono zone ventose eh e sicuramente sono delle condizioni in cui il Sirah ha trovato veramente una seconda casa. Sì, certo. E io lo trovo molto il vostro Sirah è vellutato.

 

Susanna: Cioè, oltre a essere alcolico, perché è importante, perché rispetto magari altri Sirah di altre zone del nord è un pochettino più sciapo, a chi è abituato ai vini nostri sa che i nostri sono più saporiti in generale, poi chiaramente ognuno con le sue con le sue e poi quello che è interessante del Sirah è che è proprio vellutato, rispetto a quei vini.

 

Mario: La cosa bella del Sirah è che dà un vino fruttato ma così come lo può essere anche il Nero d’Avola però poi la grande differenza è tutta la speziatura che esce fuori e poi come dici tu anche il vellutato che viene fuori anche da un leggero affinamento che viene fatto tra barrique ma anche in acciaio e devo dire che l’affinamento per il Sirah è qualcosa di fondamentale e dà un vino come dici tu proprio vellutato setoso proprio che invoglia a bersi.

 

Le realtà sono diverse e devo dire nel nostro territorio le cantine sociali che un tempo facevano parte non ci sono più quindi sono rimaste per lo più aziende familiari più o meno grandi perché poi abbiamo aziende che sono più importanti che hanno più estensioni di territorio però abbiamo anche dei piccoli produttori ovviamente danno una realtà e una visione diversa del vino che viene prodotto quindi e poi ovviamente i territori perché i territori abbiamo le zone di Monreale, le zone di Camporeale, zone del Corleonese, di Piana degli Albanesi, che cambia tanto perché da una zona all’altra cambiano le altitudini, cambiano i suoli, cambiano anche le condizioni climatiche perché considera che eh i territori più alti sono quelli che diciamo sono sotto Rocca Busambra, Rocca Busambra è la montagna più alta del territorio che arriva a oltre mille e duecento metri ma ci sono vigneti che arrivano anche a otto, novecento metri. Ovviamente sono condizioni completamente diverse rispetto al territorio di Monreale nelle zone verso il Trapanese che si arriva anche a duecento, cento metri sul livello del mare.

l’intervista continua nel video…

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Capo Redattore Psicologa e sessuologa
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