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La Cenerentola al Teatro Massimo Bellini sorprende diverte e incanta fino al 18 dicembre

La Cenerentola si iscrive nella grande tradizione, ormai già consolidata, dell’opera buffa italiana, che aveva acquisito una propria strutturata fisionomia a partire dalla metà del XVIII secolo, conoscendo un successo italiano e poi anche continentale. La favola che aveva avuto notorietà per le versioni di Giambattista Basile e di Charles Perrault racconta la vicenda della misera e sventurata Angiolina, orfana di madre e tenuta prigioniera in casa a sbrigare le faccende domestiche dal patrigno Don Magnifico.

La realizzazione a firma dei registi Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi è veramente un tributo alla città di Catania che in qualche modo diventa la Cenerentola della situazione dopo essere stata umiliata vilipesa e depredata dal suo denaro e dal suo rango recupera amore e sostanze: che sia di buon auspicio?

 

 

Don Magnifico diventa o si ispira ad un principe catanese e l’idea geniale, e soprattutto “economica” ci racconta Piero Maranghi in una brevissima intervista, diventa un modo per coinvolgere gli spettatori. Le riprese che fanno da sfondo riescono in maniera assolutamente credibile verso questo coinvolgimento, in maniera più o meno divertita, prova ne sia le buffonesche performance dei cantanti che diventano attori e personaggi anche nelle nostre vie cittadine. Magari il mare, lo scoglio e la candela hanno in qualche modo distratto gli spettatori da quello che avveniva in palcoscenico. Ma per il resto le lenzuola e i magnifici interni ed esterni del palazzo Biscari hanno sicuramente illuminato il palco di quel tocco di realtà che le opere non hanno e che non dovrebbero avere mai, ma che in questo caso fanno presagire un ottimo modo per veicolare l’opera verso i giovani: diciamo un modo interessante per catturare la loro attenzione. Infatti oggi l’evoluzione tra teatro e musei per evitare l’estinzione dell’uno e degli altri è trovare un modo giusto per comunicare con loro.

I cantanti all’altezza del loro ruolo sono riusciti a creare quella tensione giocosa senza mai scadere nella farsa picaresca; così come il coro che ha avuto una grande dinamica e preponderanza.

L’epilogo felice, in cui a trionfare non è la ricchezza materiale ma la virtù morale, non poteva esimersi da un purificatorio perdono collettivo per le sofferenze subite, che la futura principessa accorda alla sua famiglia, dimostrando di essere l’emblema della bontà e della rettitudine.

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