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Il diritto al lavoro in Sicilia: storie di chi rimane

Torna di attualità il tema del diritto al lavoro (che non c'è) in Sicilia. E ciò in scia alle manovre politiche e discussioni estive sul salario minimo garantito

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Torna di attualità il tema del diritto al lavoro (che non c’è) in Sicilia. E ciò in scia alle manovre politiche e discussioni estive sul salario minimo garantito. Ed anche a fronte di recenti statistiche secondo le quali il Sud Italia ha perso poco più di mezzo milione di abitanti in meno di 10 anni. All’affermazione del diritto al lavoro, garantito in Costituzione, si affianca recentemente e da più parti il parallelo diritto a restare. Se ne parla più frequentemente e non a caso merita pari tutela ed attenzione. Giova ricordare che oltre al diritto a migrare ogni essere umano ha anche il diritto di restare nel suo paese e quindi anche nella sua Regione di appartenenza in pace, sicurezza e libertà.
Il compito dello Stato è di creare le condizioni perchè questo diritto si attui e questa questione ‘politico istituzionale’ riguarda indistintamente tutti.

Ma il diritto a restare è una trita declamazione o ha un qualche fondamento?
Proviamo a confrontare questo tema con l’altro, reso attuale in questi giorni dallo stilista Domenico Dolce, che si è rivolto ai giovani siciliani spronandoli a staccarsi dalle inutili frequentazioni dei social e canalizzare la propria inventiva e le proprie energie in lavori che siano utili e redditizi per la Sicilia oltreché dignitosi per la persona.
Ma il lavoro è uguale dappertutto o la sua qualità e remunerazione è la chiave di ogni ragionamento?
E coloro che a tutt’oggi si battono per rimanere sono degli illusi oppure sono i virtuosi che Domenico Dolce chiama a raccolta?
Sono questioni delicate e obiettivamente diverse da persona a persona.
Ma il modo giusto per dare un senso ad ambedue le posizioni è, a mio parere, approfondire il contenuto (natura e qualità del lavoro) prima o oltre che il contenitore (lavoro).
Il lavoro è una vacua affermazione ove le condizioni obiettive del suo svolgimento sono diverse da regione a regione. Se un treno che parte da Trapani ancora oggi impiega 13 ore per raggiungere Ragusa è chiaro a tutti come questo non è un ‘gap’ meramente trasportistico ma è una condizione inaccettabile per chiunque voglia far qualcosa di utile e bello per sé e la Sicilia.
In questo senso l’assenza di collegamenti nell’isola è un’evidenza e lo sprone di Dolce rischia di risultare poco più che una ‘boutade’ da spettatore siciliano fortunato.
La fuga di cervelli dalla Sicilia è un altro fatto. Se si eccettua l’arcipelago ST a Catania e qualche eccellenza in ambito sanitario a Palermo i nostri giovani, formati dalle nostre valide Università regionali, vengono assorbiti dall’economia tedesca o inglese solo per rimanere in Europa.
Allora chi reclama il diritto a restare vorrebbe che insieme ad un efficace sfruttamento delle risorse naturali e del turismo, doni di questa terra, la nostra politica e le istituzioni regionali fossero capaci di formare un nucleo di giovani eccellenze in campo giuridico, sanitario, economico, scolastico.
Cioè creare le fondamenta sane di una società siciliana che genera lavoro vero per la manodopera locale.
Altrimenti succede quello che accade già in Sicilia come in Nigeria.
È notizia dello scorso aprile che nel tentativo di arginare la “fuga di cervelli” in ambito medico, i parlamentari nigeriani stanno esaminando una proposta di legge che prevede di trattenere i medici per almeno cinque anni nel Paese prima che possano laurearsi. La misura prevede che i giovani medici siano obbligati a praticare per almeno cinque anni in Nigeria prima di poter conseguire la laurea completa e quindi lasciare il Paese (fonte:web Africa rivista. it, 19 aprile 2023).
Nessuna sorpresa. La Sicilia in questo ha oggi lo stesso destino della Nigeria.
Tutto questo lo stilista Domenico Dolce lo omette con la sua provocazione e non è poco.
Ma è anche vero che il piangersi addosso pretendendo condizioni di miglior favore e persino l’inerzia remunerata, il sussidio, in considerazione della situazione disagiata è vittimismo inutile e nocivo.
I creatori di lavori remunerativi da noi esistono eccome. Un esempio? A Milazzo mi raccontano c’è un signore che per consentirti un comodo raggiungimento dell’isola di Salina con una modica spesa ti imbarca l’auto sul traghetto che puoi riprendere a Salina dopo che da passeggero hai preso l’aliscafo, più comodo e frequente.
Dunque esiste una concezione del lavoro universale ed universalmente intesa per cui c’è lavoro per chi ha l’umiltà di cercarlo individuando anche empiricamente il bisogno della prestazione, del servizio e creando le condizioni della sua remunerazione.
Ogni lavoro anche il più umile, concorre ad accrescere la reputazione di chi lo compie e non si può far altro che prestarlo (anche gratuitamente) se occorre per un certo tempo.
D’altra parte anche i giovani, interpellati da un sondaggio per il quotidiano la Sicilia, per il 60% dei casi si sono dichiarati disposti anche a lavorare gratis per sei mesi a condizione di essere in affiancamento a persone o realtà capaci di trasferire conoscenze realmente spendibili nel mercato del lavoro.
È l’eterno dilemma: il lavoro si crea dalla testa o dal basso, cioè, lavorando e facendo esperienza?
Credo che occorrerebbero entrambe le cose dosate secondo un piano strategico di medio lungo periodo (almeno un quinquennio).
È dunque sacrosanto, nel pretendere il diritto a restare, battersi per un miglioramento delle condizioni di contesto del lavoro in Sicilia.

 

Ma si può fare la voce grossa e chiedere se la richiesta proviene da chi fa senza fermarsi un attimo, con dignità e senza inutili complessi di inferiorità.

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