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“Addicted, Desiderio irresistibile”: dedicato alle donne che amano “troppo” in tutti i sensi

Su Netflix un film sulla dipendenza sex&love femminile con: Sharon Leal, Boris Kodjoe, Tasha Smith, del 2014 diretto da Bille Woodruff

Psicologa e sessuologa clinica mi occupo delle donne con amore e dedizione. Uso i film per la narrazione delle storie, ogni vita è un film al quale bisogna rendere omaggio. Con un marito premuroso, due figli e una grande carriera, Zoe ha tutto, finché non sviluppa un’insaziabile fame di sesso con altri uomini. “Addicted – Desiderio irresistibile”, il film del 2014 diretto da Bille Woodruff, è un thriller che vede protagonista Zoe Reynard (Sharon Leal). Dal di fuori, la sua vita sembra perfetta: gallerista di successo, un’agente di artisti emergenti, donna in carriera con una bella famiglia alle spalle e una vita apparentemente perfetta, il matrimonio felice con Jason (Boris Kodjoe) e due bambini. Nel suo mondo privato Zoe nasconde un segreto intimo e profondo. La routine quotidiana non la soddisfa più ed è tormentata da un irrefrenabile istinto sessuale, ormai attratta da tentazioni perverse e inconfessabili. Succede che a una mostra d’arte incontra il giovane pittore di talento Quinton Canosa (William Levy), Zoe sfoga gli istinti repressi intrattenendo con l’artista un’intensa relazione extraconiugale. Per guarire l’implacabile dipendenza sessuale, Zoe consulta persino una terapista, la dottoressa Marcella Spencer (Tasha Smith), la quale cerca invano di scavare nel passato della paziente in cerca dell’evento traumatico scatenante. Ma ormai “lo sconosciuto” nella sua vita si rivelerà un errore quasi fatale.

È basato sull’omonimo romanzo del 2001 di Zane, scrittrice di letteratura erotica piuttosto popolare oltreoceano. Il film si apre con una seduta di psicoterapia, nella quale veniamo a conoscenza dei tormenti di Zoe, legati alla sfera sessuale. L’intesa sessuale tra Zoe e il marito Jason sembra forte perché lei ha conosciuto solo lui almeno “ufficialmente”. Quando Zoe farà la conoscenza di Quinton Canosa (William Levy), con cui nasce una passione irrefrenabile, che condurrà Zoe ad avvertire sensi di colpa e di smarrimento nei confronti di un equilibrio familiare e matrimoniale. Ma perché “Addicted” non riesce a sondare profondamente il tormento della protagonista? Indagare le cause e conseguenze della dipendenza sessuale della protagonista, ad oggi una delle dipendenze più diffuse, classificata come disturbo patologico o comportamentale. “Addicted” è soltanto un harmony semi-soft porno, ma che ha un suo perché. Le donne che amano “troppo” in tutti i sensi, possiedono determinate caratteristiche. Provengono da una famiglia disturbata dove nessuno si curava dei loro bisogni emotivi. Avendo ricevuto ben poco e autentico affetto, cercano di saziare questo bisogno disatteso per interposta persona, offrono le loro cure a un uomo che sembra in qualche modo averne bisogno. Non sono mai riuscite a cambiare i loro genitori trasformandoli nelle persone calde e affettuose che desideravano tanto intensamente, rispondono con troppa passione al tipo di uomo emotivamente non disponibile che riconoscono, e che possono di nuovo cercare di cambiare con il loro amore. Terrorizzate dall’abbandono, fanno qualsiasi cosa per impedire che la relazione finisca. Nulla è troppo faticoso per  “aiutare” l’uomo che amano. Sono state abituate alla mancanza di amore nei rapporti personali, sono disposte ad aspettare, sperare sforzandosi di piacere. Sono disposte ad assumersi le responsabilità, colpe e biasimo in una relazione. La loro autostima è inesistente e sono convinte di non meritare di essere felici. Nell’infanzia non si sono mai sentite sicure, hanno un bisogno disperato di controllare il loro uomo e la loro relazione. Mascherano gli sforzi di controllare persone e situazioni con il pretesto di essere “soccorrevoli”. Sono dedite agli uomini e alle sofferenze emotive come a una droga. Sono predisposte emotivamente a diventare dipendenti da droghe, da alcolici, e/o da certi cibi, e dal sesso. Essendo attratte da persone con problemi che hanno bisogno di essere risolti, si lasciano coinvolgere in situazioni caotiche, incerte ed emotivamente penose, per dimenticare la responsabilità che hanno verso se stesse.

Così per tornare alla nostra protagonista la condizione mentale ed emotiva di Zoe è un debole pretesto per l’inserimento di sequenze che vorrebbero essere piene di eros, passionali, ma il cui unico focus è indugiare sulla fisicità degli attori, infatti il lato estetico risulta preponderante, superficiale e privo di introspezione, non quello etico, di sofferenza autentica, che riguarda la componente di assuefazione e inerzia al piacere sessuale. La dipendenza è indagata unicamente come esagerazione, ostentazione di un desiderio irrefrenabile, non come un qualcosa che priva della propria soggettività, come dipendenza che crea disagio a chi ce l’ha e a chi fa parte della vita del dipendente. Il problema di Zoe e del film si riduce all’incapacità della protagonista di soddisfare i suoi bisogni e non al vero conflitto interiore e a ciò che ha causato il trauma. Tra l’altro un tipo di dipendenza poco indagata dal punto di vista femminile nel panorama degli addiction-drama, sulle donne che soffrono di una patologia stigmatizzata e non ancora ben compresa. Il lato più oscuro e degradante della dipendenza, viene indagato adottando un tono patinato e a favore di camera, privo di qualsiasi autenticità. Woodruff vorrebbe raccontare una storia di dipendenza sessuale, di ossessione e caduta in una spirale distruttiva, e l’origine patologica del desiderio sessuale di Zoe è a malapena affrontata, quando alla fine si introduce la dimensione della dipendenza, cercando le cause che si celano davvero dietro al disturbo della donna, il trauma infantile legato ad una violenza sessuale, perché dietro ad una dipendenza, affettiva e/o sessuale, i termini della dipendenza sono comunque legati al contatto, alla sfera del piacere, che riguardano il come siamo stati amati nella nostra infanzia. Per cui la scelta dell’uomo ideale come marito a cui Zoe chiede aiuto, in realtà non è vero che lei sta bene con lui, il trauma comunque la perseguita, lei non fa altro che cercare un “reset”, l’incontro con l’artista la mette in discussione su qualcosa che lei ha accantonato, e che poi sfocia con l’istinto al sesso sempre e dovunque. Interessante l’idea che per dimenticare il pittore va in discoteca e fa sesso col primo che capita, innescando un menage a troi con i suoi amanti. Si è vero sono tutti belli in questo film, ma la linearità a volte banale e grottesca della narrazione permette a chi soffre di questa sorta di reset dicevamo di riflettere sul significato reale della propria vita e cioè delle scelte che facciamo rispetto a quello che ci ostiniamo a chiamare Amore. Un’unica obiezione: ho avuto la sensazione che il film sia stato finanziato da una clinica che si occupa di dipendenza sessuale, una clinica inglese dove i terapeuti spesso diventano una sorta di circuito come quello degli alcolisti: ma sarà poi vero?

 

 

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