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“Il domicilio come luogo elettivo di cura per privilegiare la centralità della persona”

Al dipartimento di Scienze politiche e sociali presentato il ‘Manifesto per una nuova salute di prossimità’ elaborato dalla Rete Welfare responsabile, al via un confronto tra Università e Asp di Catania

Abbandonare una volta per tutte la visione ‘ospedalcentrica’ della sanità, portare invece le cure verso il paziente, fin nel suo domicilio, individuato come luogo elettivo di cura, riconoscendo così la centralità della persona. È la ‘ricetta’ per ricalibrare il Sistema sanitario nazionale proposta da un gruppo di esperti universitari aderenti al Gruppo Salute della Rete Welfare Responsabile, composta da studiosi di 19 atenei e coordinata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che hanno elaborato il “Manifesto per una salute di prossimità”: una serie di indicazioni e suggerimenti per ridisegnare il ‘core business’ della sanità italiana, all’indomani del ciclone Covid-19.
Il ‘Manifesto’ è stato presentato giovedì mattina nell’aula magna del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania, dal prof. Guido Giarelli dell’Università Magna Græcia di Catanzaro, componente della Rete, nel corso di un incontro promosso dal Laboratorio di Progettazione Sperimentazione ed Analisi di Politiche Pubbliche e Servizi alle Persone (LaPoSS) dell’ateneo e dalla Rete Civica della Salute.

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«Questo argomento è sempre più rilevante e dev’essere al centro dell’agenda politica e di ricerca – ha osservato in apertura la prorettrice Francesca Longo -. Dall’interazione tra ricercatori, istituzioni e operatori sanitari possono infatti scaturire preziose indicazioni per le politiche pubbliche in questo settore». «La pandemia ci spinge a mutare il nostro modo di lavorare e a rimodulare gli obiettivi – ha aggiunto il direttore del LaPoSs Carlo Pennisi -. A nostro avviso, il Manifesto proposto dalla Rete è efficace per superare le tradizionali contrapposizioni tra pubblico e privato, tra amministrazioni e terzo settore, e suggerisce nuovi modelli e chiavi di lettura che possano oltretutto integrare le differenze esistenti tra i Sistemi sanitari delle varie regioni. Per questo, come ricercatori attivi da oltre vent’anni al servizio dei problemi di Catania e della Sicilia, vogliamo aprire un dialogo proficuo con aziende come l’Asp».

Le criticità e le debolezze strutturali del Ssn italiano, evidenziatesi in particolare nel duro periodo della lotta alla pandemia, spingono dunque a cogliere l’occasione per ripensare il sistema delle cure primarie e dei servizi territoriali. Queste, secondo il prof. Giarelli, possono diventare il perno del Ssn.

Si tratta quindi di portare le cure presso il paziente anziché viceversa, determinando un riorientamento delle cure che possono essere erogate direttamente presso il domicilio o in strutture di prossimità, secondo una logica culturale e organizzativa di rete multidimensionale e integrata (sociale e sanitario, ospedale e territorio, pubblico-terzo settore). «È sufficiente guardare alle percentuali di ‘codici verdi’ e ‘bianchi’ nelle attività di pronto soccorso, rispetto ai ‘rossi’ e ‘gialli’, ossia i casi veramente gravi – ha osservato il docente -. Il 76% degli interventi potrebbero essere svolti altrove, così come molti altri Paesi hanno cominciato a fare individuando dei modelli di Primary healthcare adattati ai vari contesti”. Un forte impulso a questa ‘rivoluzione copernicana’ potrebbe provenire – ha suggerito Giarelli – dalle risorse messe a disposizione dalla Missione 6C1 del Pnrr, che parla espressamente di reti di prossimità e assistenza territoriale».

«Ringrazio l’Università e la Rete Civica della Salute per questa opportunità di confronto in un momento di cambiamento per il Sistema sanitario nazionale – ha affermato il direttore amministrativo dell’Asp di Catania, Giuseppe Di Bella, che ha portato i saluti del commissario straordinario Maurizio Lanza -. La macchina amministrativa è già partita con una tempistica ben precisa da rispettare. La programmazione degli interventi che stiamo realizzando, passa non solo dagli ospedali, ma dalla centralità della stessa casa, dall’assistenza domiciliare, dalla presa in carico dei pazienti cronici, dalla risposta alla quotidiana domanda di salute dei cittadini. È un vero e proprio cambio di paradigma che richiede la costruzione di reti di prossimità, nuovi luoghi di cura (case di comunità, ospedali di comunità, centrali operative), orientamento ai servizi e loro accessibilità, nuove modalità di presa in carico globale dei pazienti, tramite il ripensamento dei percorsi assistenziali e un ruolo attivo delle comunità e dei cittadini».

«I nostri uffici tecnici stanno progettando nuove strutture – ha aggiunto il direttore sanitario Antonino Rapisarda – e presto recluteremo il personale. A noi il compito di informare i cittadini, promuovere i servizi, far lievitare una nuova cultura della salute, educando a stili di vita più corretti. Fra le attuali criticità, c’è la quotidiana carenza di personale dei presidi ospedalieri, quindi ben venga il Pnrr non soltanto per gli investimenti che realizza, ma anche per le opportunità che ci offre di ripensare e riformare l’assistenza sul territorio in un’ottica inclusiva, di partecipazione e di semplificazione».

Il direttore del Dipartimento Attività territoriali Franco Luca, ha poi citato alcune best practices già sperimentate che hanno anticipato le visioni del Pnrr, riferendosi ai Pua e al Pta “San Luigi” dove sono stati realizzati percorsi assistenziali innovativi per l’area della cronicità e dell’assistenza domiciliare, con il complessivo potenziamento dell’offerta sanitaria sul territorio. Il dirigente responsabile Uo Educazione e promozione della Salute Salvatore Cacciola, si è invece soffermato sull’importanza della programmazione e della centralità del territorio, sottolineando l’efficacia di pratiche come il budget di salute e il piano della prevenzione.

Infine, Pieremilio Vasta, coordinatore regionale della Rete Civica della Salute e presidente del Comitato consultivo dell’Asp di Catania: «Ciò che promette il Pnrr per il rafforzamento della medicina del territorio e l’integrazione socio-sanitaria – ha detto – può attuarsi solo con un impegno corale e convergente di istituzioni e forze sociali, mettendo al centro i cittadini-utenti. L’impegno della Rcs, che costituisce un canale di partecipazione attiva dei cittadini per la tutela della salute, è quello di fare da collante e monitorare l’obiettivo della medicina di iniziativa: non dev’essere più il paziente a inseguire il sistema sanitario, ma quest’ultimo a prenderlo in cura per accompagnarlo con continuità nei percorsi di salute che iniziano dalla prevenzione».

 

 

 

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