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Cefalea resistente, al via la sperimentazione per il trattamento con un nuovo stent venoso

CATANIA – Un nuovo stent venoso per il trattamento di pazienti affetti da Cefalea resistente: ciò è frutto di uno studio clinico del prof. Pierfrancesco Veroux dell’Università di Catania, mai realizzato prima nell’uomo, che è stato recentemente approvato dal Comitato Etico Catania 1 in via definitiva e che consentirà agli esperti di valutare la sicurezza e l’efficacia del nuovo dispositivo nel trattamento di pazienti affetti da Cefalea resistente alla terapia medica, una patologia che affligge molte decine di milioni di persone nel mondo.

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Lo studio clinico vedrà coinvolta un’equipe multidisciplinare di ricercatori delle Università di Catania e Ferrara guidata dai docenti Pierfrancesco Veroux (ordinario di Chirurgia vascolare) e Mario Zappia (ordinario di Neurologia). Il progetto di ricerca è finanziato dal Ministero della Salute e dalla start up Petalo srl, spin-off dell’Ateneo catanese fondato nel 2012.
Lo stent venoso è già stato utilizzato in uno studio preclinico con risultati molto incoraggianti in termini di sicurezza e pervietà del vaso trattato. Il dispositivo medico denominato “Petalo” è protetto da un brevetto europeo e da 12 brevetti internazionali. Grazie a delle procedure mininvasive, verrà applicato a livello delle vene giugulari interne affette da restringimenti patologici, normalizzando cosi il flusso venoso in uscita dal cervello e diretto al cuore.
Il progetto sarà realizzato nei locali del nuovo Centro di Alte Specialità e Trapianti e della clinica Neurologica, entrambi del “Policlinico” di Catania. Successivamente saranno coinvolte altre strutture nazionali ed internazionali per la seconda fase dello studio che prevede tra l’altro la “validazione” della reale efficacia clinica del trattamento innovativo proposto. «Il team di ricercatori confida che questo studio possa documentare una nuova possibile cura per la Cefalea e di poter migliorare quindi la qualità di vita e la salute di pazienti spesso giovani ed in età lavorativa per i quali al momento non esiste una terapia efficace – spiega il prof. Veroux -. Si prevede di “arruolare” i primi pazienti nel 2020 e di concludere lo studio in una finestra temporale di tre anni». Il progetto ed il nuovo dispositivo saranno presentati al congresso mondiale per l’innovazione in campo biomedico in programma a Strasburgo dal 17 al 19 ottobre.

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