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Beni confiscati, il rettore Priolo: “Lotta alla criminalità compete anche alla società civile”

CATANIA – «Non possiamo pensare che la lotta alla criminalità competa solo alle forze dell’ordine e alla magistratura, è una problematica che richiede l’intervento e il coinvolgimento di tutte le istituzioni e anche della società civile». Lo ha detto il rettore Francesco Priolo stamattina nel corso del dibattito dal titolo “Beni confiscati: Labirinto tra responsabilità diffuse e opportunità mancate. Quali prospettive?” organizzato dall’Associazione antiestorsione di Catania in collaborazione con l’Università di Catania nei locali del Palazzo Fortuna del Dipartimento di Economia e Impresa.
«Sul tema dei beni confiscati e al fondamentale riutilizzo, l’Università di Catania il 20 maggio scorso ha siglato un protocollo d’intesa con la Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo e con l’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati finalizzato ad una approfondita analisi delle criticità connesse al mantenimento da parte delle imprese confiscate delle posizioni di mercato antecedenti alla confisca con l’obiettivo di favorire la continuità imprenditoriale e il livello occupazionale – ha aggiunto il rettore -. Il protocollo prevede anche lo studio del fenomeno criminale con particolare riguardo alle tematiche connesse alle conseguenze socio-economiche legate alla confisca dei beni nella disponibilità delle mafie. E anche delle attività necessarie al superamento delle criticità che ostacolano o rallentano la restituzione alla collettività dei patrimoni mafiosi e quindi il loro riutilizzo a fini sociali».
E proprio nel corso dei lavori i docenti Maurizio Caserta e Livio Ferrante dell’ateneo catanese hanno illustrato diversi studi basati sull’analisi economica dei provvedimenti di sequestro e confisca dei beni della criminalità organizzata e della loro riassegnazione che permette di misurare l’impatto che quei provvedimenti hanno su alcune significative variabili territoriali.
«Il primo dal titolo “Mafia and bricks: unfair competition in local markets and policy interventions” si è occupato di misurare gli effetti che quei provvedimenti hanno sulla struttura dei mercati locali e sul loro grado di concentrazione e usando i dati sui comuni siciliani si osserva una evidente associazione tra la presenza mafiosa sul territorio e il grado di concentrazione dell’industria delle costruzioni – ha spiegato il ricercatore di Economia politica Livio Ferrante del Dipartimento di Economia e Impresa -. Si osserva pure che in quei comuni dove sono stati adottati provvedimenti di confisca delle aziende mafiose il grado di concentrazione si riduce garantendo un livello di competizione più alto ed un incremento del valore degli immobili tra il 2 e il 3%».

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«Un altro studio, dal titolo “Shall we follow the money? Anti-mafia policies and electoral competition”, guarda alla concentrazione di voto nelle elezioni regionali siciliane e si osserva che nei luoghi dove c’è stata riassegnazione per usi pubblici di un bene c’è anche minore concentrazione di voti per i candidati protagonisti delle vicende giudiziarie per collegamenti con la mafia. Vi è un aumento della competizione elettorale – ha aggiunto il ricercatore -. Il processo di riassegnazione sembra togliere il consenso alla mafia. Non basta la confisca, occorre la riassegnazione e riutilizzo del bene che mina il consenso e il potere della mafia e di conseguenza sostiene l’esistenza di altre vie».
All’incontro sono intervenuti anche il direttore di Dipartimento di Economia e Impresa Roberto Cellini, il procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro, il direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata Bruno Corda, il presidente della Commissione regionale d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia Claudio Fava e il presidente Asaec Nicola Grassi.

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