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Salvatore Zinna e l’interpretazione di “Doppio legame” al Giardino di Scidà

CATANIA – Doppio Legame, il lavoro di Maria Piera Regoli, Salvatore Zinna e Federico Magnano San Lio del 1993, è andato in scena al Giardino di Scidà, [vedi articolo] in via Randazzo 27 a Catania. Il Giardino di Scidà è un bene confiscato alla mafia assegnato a “I Siciliani-giovani” e curato insieme al Gapa, alla Fondazione Fava e all’Arci. Un appartamento un tempo appartenuto al boss mafioso Nitto Santapaola e che adesso è stato restituito alla città. Uno spazio dove cultura, impegno sociale, arte e giornalismo si incontrano in un percorso di antimafia sociale. La storia del lavoro teatrale comincia nel 1991, dall’analisi di una testimonianza sorprendente costruita sui verbali del maxiprocesso alla mafia istruito nel 1986 da Giovanni Falcone. Il racconto, che non può essere solo tale, illustra, attraverso la rappresentazione plurisoggettiva dell’unico attore, Salvatore Zinna, la storia tragicomica di Enzuccio, pentito privo di credibilità a tratti bleso, impacciato e con visibili difficoltà motorie. Un uomo che non conta nulla, infantile per certi versi, un diseredato, brutto e cattivo, l’incolpevole che rappresenta il rovescio della medaglia della mafia, che di contro è implacabile e ostinata. Si riscopre quindi, Enzuccio, nella sua personalissima paradossale ricerca di giustizia e dignità, all’interno di luoghi comuni, in un mondo dove essere qualcuno equivale a “vivere”, mentre essere nessuno equivale a non essere, quindi a “scomparire”.

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Sinossi – Per permettere al fratello di pagare i debiti di un commercio di acciughe andato male, Enzuccio fa una rapina al bar della sorella di un mafioso infilandosi in una spirale inarrestabile di conseguenze senza vie di fuga, come la scena del mondo, in cui si svolge lo spettacolo: senza quarta parete, con un’unica uscita che per Enzuccio è solo e soltanto la platea – la credibilità del suo racconto per gli spettatori che sono gli unici detentori del potere sulla sua vita e sulla sua morte.

Il titolo “Doppio legame” pensato dagli autori si riduce ad una sequenza comunicativa contraddittoria che crea una relazione interpersonale molto disturbata. In questo tipo di relazione un soggetto vive in pratica un dilemma, insolubile che sembra non avere una via di fuga lineare. L’epilogo della relazione è quindi contorto, che si contraddice, in un ossimoro perpetuo tra comportamento e azione, quindi patologico. Una spirale senza via d’uscita per il protagonista della storia, un finale tragicomico, una sparizione dalla scena.

Si rappresenta quindi un uomo, con i suoi difetti e le proprie aspirazioni, semplici ed immediate. Un uomo vittima di se stesso e del sistema culturale di cui è egli stesso fagocitatore. Si rappresenta una mafia comunque, che non esiste più, sostituita oggi dal cambiamento epocale dell’evoluzione e dai prodromi concettuali derivanti dalle complessità culturali. Il concetto stesso di “Maxi processo” , sconosciuto dalla maggioranza dei giovani è oggi diventato “altro”, spodestando l’idea stessa di “cupola”.

 

 

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Paolo Zerbo
Paolo Zerbohttp://zarbos.altervista.org
Paolo Zerbo Direttore responsabile Laurea in Sociologia Communication skills and process model ICT developer
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