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“Cose di casa nostra” di Teatro alla Lettera

Esiste una disparità di tipo oggettivo, collettiva e duratura che si rappresenta nella complessità delle classi e dei ceti sociali che condividono un certo destino sociale. C’è anche una disparità soggettiva, individuale e instabile di tipo transitorio che dipende dalle capacità (capabilities) di funzionare al meglio e raggiungere il well-being o benessere. Ecco, la disparità sia oggettiva che soggettiva si fonde nelle organizzazioni illegali laddove in quelle legali è ancora impossibile per ovvi motivi. E ancora le diseguaglianze ascritte (origine sociale, genere, età, etnia) ed acquisite (educazione, posizione lavorativa, status) trovano nelle organizzazioni, sempre illegali, un compromesso che risolve sia l’efficacia o capacità di raggiungere un obiettivo, che l’efficienza delle risorse impiegate per raggiungere quell’obiettivo. Indubbio che in questo confronto l’attività illegale, che usa qualsiasi mezzo per ottenere lo scopo, risulti spesso vincente nei confronti del buon agire. In organizzazioni come la Mafia, anche le solite disuguaglianze, come quelle di genere sono superate dalla necessità di essere efficaci ed efficienti e non è insolito vedere delle donne capofamiglia o delle donne boss. Inoltre con il cambiamento della società, che vede nell’aspetto social e nella condivisione nuove prospettive, servono nuove competenze e adattabilità cui solo la donna appare disposta. La compagnia del Teatro alla Lettera di Roberto Disma, ha saputo conciliare proprio questo tipo di aspetti peculiari nella nuova commedia, “Cose di casa nostra” che è andata in scena presso Dendron a Valverde. Una pièce basata sulla commedia degli equivoci, in cui proprio la donna ne esce vittoriosa, anche se ha perso. Il tono dello spartito drammaturgico è sobrio e divertente, scorrevole, con alcuni spunti di geniale comicità, che lascia spazio anche ai commenti e alle riflessioni.

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Domandiamo all’autore nonché attore, Roberto Disma, il motivo di questa particolare scelta:

Disma, hai mantenuto la parola: lo spettacolo fa ridere molto pur mantenendo il profilo sociale e culturale che contraddistingue i tuoi spettacoli. Coi personaggi femminili di Concetta e Rosa, interpretati magistralmente da Roberta Rivolo e Valentina Sinagra, fanno quasi tenerezza i personaggi maschili, il tuo magnifico Tano e Saruzzu, nella brillante interpretazione di Gianluca Rubino. Se volessimo analizzare questa commedia degli equivoci, sembra abbia insistito particolarmente sul ruolo e sulla figura della donna nel sistema mafioso contemporaneo.

È stata un’insistenza voluta, ma l’hanno concesso i dati di fatto: il ruolo della donna nel sistema mafioso è l’unica componente rimasta intatta, quasi identica, in tutta la storia della mafia in generale e di Cosa Nostra in particolare. Da quanto emerso negli ultimi anni sappiamo che detiene un ruolo fondamentale, di comando, ma è sempre stato così. Per questo l’insistenza drammaturgica non ha dato alcun segno di forzatura: è la realtà dei fatti a porla, in fondo.

Dietro ogni grande uomo c’è una grande donna: in questo caso potremmo dire che dietro ogni grande mafioso c’è una grande mafiosa?

Molto peggio. Dietro la figura ufficiale che detiene il comando di una società, perché quando si parla di mafia è importante comprendere che si tratta di questo, il potere effettivo non può che gestirlo una donna: dalla moglie che si occupa della casa e delle commissioni intime e riservate che solo le mura domestiche possono detenere, alla madre che educa i figli nella mentalità mafiosa e sbriga tutte le faccende a cui un uomo non può adempiere per via di costumi e usi tramandati da secoli. Le tradizioni rimaste nella mafia trovano l’epicentro proprio nella figura della donna: e il valore fondamentale affinché una società sopravviva è la salvaguardia della propria identità e della cultura. Questo la mafia lo sa bene, molto più dello Stato.

E la protagonista dello spettacolo sembra sia proprio l’identità culturale del sistema mafioso.

La vera protagonista è Concetta, la moglie di Tano, proprio perché incarna tutta la funzionalità della struttura mafiosa: in breve, le donne di mafia sono paragonabili al consiglio degli anziani dell’antica Sparta. Anche là c’era un re e un apparato di potere ben strutturato, tra l’altro con notevole considerazione della forza proprio come nella mafia, anche se ormai il corso della Storia ha imposto a Cosa Nostra l’assunzione di dinamiche sempre più aziendali, ma erano gli anziani a comandare. Ed è il potere più forte e resistente che esista, l’unico che può crollare solo con l’annientamento della mentalità mafiosa; anche se venissero arrestati tutti i capimafia sparpagliati sulla faccia della Terra la mafia non finirebbe, perché ci sarebbe sempre qualcuno pronto a prendere le redini. E quel qualcuno sarebbe stato educato da una donna per assumere questa responsabilità.

Quest’analisi è molto interessante, ma sei riuscito a porre delle motivazioni?

Come dicevo prima, trattandosi di una società, la donna è fondamentale; e come ogni società occidentale, la donna è barbaramente considerata in secondo piano rispetto all’uomo. Allora, proprio come la mafia ha avuto origine in Sicilia, alcune donne sono diventate vittime del sistema e altre hanno imparato a gestirlo adempiendo alle mansioni fondamentali. Nello spettacolo è Concetta che porta le informazioni, i pizzini, è lei che tratta e che decide influenzando fortemente la volontà del marito e del picciotto. La donna di mafia comanda perché è pronta a tutto, molto più dell’uomo. Nella mafia l’uomo non deve avere scrupoli e, quando siede al tavolo strategico, di norma annulla ogni sentimento per riuscire a operare con maggiore efficienza ed efficacia. La donna sa fare molto di più: non annulla il sentimento, ma impara a gestirlo e lo usa per organizzare e svolgere le proprie mansioni. E quando in un apparato organizzativo risiede il sentimento di una donna, la lotta contro di esso non può che rivelarsi sottile e titanica, almeno per gli uomini.

Proporresti alla Procura Antimafia di considerare più donne nel suo organico?

Sarebbe già un buon inizio.

 

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Paolo Zerbo
Paolo Zerbohttp://zarbos.altervista.org
Paolo Zerbo Direttore responsabile Laurea in Sociologia Communication skills and process model ICT developer
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