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Le politiche di contenimento e la percezione del rischio nella pandemia secondo il sociologo Davide bennato

Davide Bennato, professore all’Università di Catania, insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi e Sociologia dei media digitali. Il suo specifico ambito di ricerca è relativo allo studio dei comportamenti di consumo dei media digitali, delle forme di relazione sociale in internet e dei comportamenti collettivi tecnologicamente mediati. Le tecniche usate per svolgere le ricerche fanno riferimento alla computational social science, ovvero quella branca delle scienze sociali che usa strumenti di analisi dei fenomeni sociali mediante approcci computazionali.
Negli ultimi tempi si sta occupando di Big data, sia dal punto di vista sociologico (etica, privacy, conseguenze sociali), sia dal punto di vista metodologico (ricerche empiriche basate sui Big Data o comunque sull’analisi sociologica di enormi dataset). Fonte tecnoetica.it (nda)

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Fase 2: c’è la possibilità di un effetto domino? Esiste, cioè la possibilità che, sia l’organismo politico che l’organizzazione sociale non siano in grado di contenere gli effetti economici e sociali non riuscendo a offrire una risposta concreta a quelle scelte che sono state operate in principio ed in itinere per contrastare l’epidemia?
«È difficile separare le conseguenze delle decisioni politiche sulle persone o il comportamento collettivo dalle scelte politiche. Possiamo dire che la politica deve operare delle scelte che fungano da guida per tenere insieme la sicurezza sanitaria e la sicurezza sociale. Il problema centrale è l’effettiva positività di queste scelte e il verificarsi di effetti inattesi».

Il senso di eternità: “A me non succede”. La mancanza di empatia per chi è mancato e per chi è rimasto. Una connotata dissonanza cognitiva o mancanza di informazione?
«Io ritengo che sia stata una mancata percezione delle dimensioni del fenomeno. Quando non ci riguarda da vicino, il cinismo verso gli altri è una questione quantitativa: se sono coinvolte poche persone la cosa non è percepita come importante, se sono coinvolte molte persone improvvisamente diventa qualcosa di preoccupante. Infatti in questi ultimi giorni di tematizzazione nella stampa delle morti nelle RSA Lombarde, questo atteggiamento cinico è via via venuto meno».

Si leggono sempre più confronti, sui social e sui giornali, riguardo alle politiche di contenimento e contrasto al Covid-19, di Nazioni che sono molto distanti dal modello italiano, economicamente, politicamente e culturalmente. Questi continui paragoni con i Paesi esteri rappresentano un netto rifiuto del “Modello Italiano” o una speranza e soprattutto voglia di un radicale cambiamento?
«Le politiche di contenimento della pandemia sono frutto di tre elementi chiave: la velocità di reazione dei governi, la capacità di carico del sistema sanitario, il comportamento del virus e della malattia. Ad eccezione dell’ultimo punto i primi due sono specifici culturalmente e geograficamente. Si può dire che da un punto di vista generale fa bene confrontarsi con le strategie degli altri paesi, ma è bene ricordare che ogni paese è una realtà a se stante».

Esperti e le dichiarazioni senza evidenti rapporti scientifici. Le ambiguità e le contraddizioni di queste dichiarazioni alimentano la “paura”?
«Gli esperti sono tali quando si muovono nel proprio campo di competenze: non ha senso ad un virologo fare una domanda di epidemiologia o ad un medico una domanda di virologia. Ovviamente la conoscenza generale può portare ad una risposta da parte dell’esperto interpellato su un campo che non è il suo, ma è poco più di una opinione informata. Inoltre l’assoluta novità del virus e della malattia porta i ricercatori a rivedere le proprie posizioni man mano che si sa sempre di più del fenomeno. D’altronde come ci ricorda il filosofo della scienza Karl Popper, la conoscenza scientifica procede per congetture e confutazioni».

Covid-19 e percezione del rischio. Una semplice dicotomia raffreddore/peste o più una considerazione polisemica dell’opinione pubblica?
«La percezione del rischio è molto cambiata con la diffusione della pandemia. All’inizio la narrazione dominante era quella de “una forte influenza” poi è diventata “una malattia respiratoria piuttosto contagiosa” finché la curva dei decessi ha fatto comprendere che c’era poco da scherzare. È un fenomeno nuovo a cui non eravamo preparati».

La comunicazione Istituzionale, come ha funzionato?
«In maniera altalenante, alcune volte è stata chiara e diretta, altre volte oscura e indecisa. Sta di fatto che la comunicazione istituzionale peggiore è stata fatta da chi aveva intenzione di screditare le azioni del governo a puri fini propagandistici. In alcuni momenti abbiamo assistito a un brutto spettacolo da parte di alcuni rappresentati delle istituzioni.

La funzione della stampa in generale. Quali sono state le differenze secondo lei più evidenti tra la stampa estera e quella italiana?
«Non è facile rispondere. La stampa italiana ha un palcoscenico dominato da un giornalismo urlato e comunque fondato su opinioni non sempre ben verificate, mentre nel retroscena ci sono state testate giornalistiche più piccole, spesso online, che invece hanno lavorato molto bene e sono riuscite a fidelizzare un pubblico alla ricerca di informazioni di qualità. In generale la grande stampa estera ha fatto un’operazione informativa encomiabile – penso a testate come il Guardian o il Washington Post – la grande stampa italiana ha fatto quello che sa fare meglio: essere il megafono di una specifica parte politica, spesso forzando i limiti della deontologia giornalistica».

Abitudini e Fase 2. Distanziamento e senso di fiducia/sfiducia. Come potrebbero evolversi i rapporti interpersonali? Potrebbero insorgere dei “localismi diffusi”?
«È difficile prevedere il futuro, ma posso provare a delineare uno scenario. Sono dell’avviso che dovendo ridurre i contatti sociali, ci si concentrerà su quei rapporti per cui vale veramente la pena sfidare una pandemia silente. Lo so che può suonare poco elegante, ma credo che molti riorganizzeranno le proprie relazioni secondo una strategia del “tagliare i rami secchi”: se non ho motivo di interagire con una persona, la relegherò ai margini delle mie relazioni, magari limitando le interazioni solo a livello digitale. E credo che lo stesso varrà per i rapporti professionali».

Breve biografia
Davide Bennato, dottore di ricerca in Scienze della Comunicazione (Università La Sapienza – Roma), è professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Sociologia dei media digitali e Sociologia delle comunicazioni di massa ed è vicepresidente del corso di Laurea in Scienze e Lingue per la Comunicazione.
È socio fondatore ed ex vicepresidente (2005-08) di STS Italia Società Italiana di Studi su Scienza e Tecnologia ed è stato membro del corpo docente della Lipari School on Computational Complex and Social Systems.
Attualmente è membro del consiglio di Amministrazione di Bench s.r.l., spin off dell’Università di Catania specializzato in ricerche sociali e di mercato attraverso l’uso di big data, membro del Dottorato in Sistemi Complessi per le Scienze Fisiche, Socio-economiche e della Vita del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania, membro del Consiglio del Centro Informatica Umanistica (CINUM) dell’Università di Catania.
I suoi interessi di ricerca sono: sociologia digitale, analisi dei comportamenti collettivi nei social media, etica dei big data, rapporto fra tecnologia e valori, rapporto fra tecnologia e valori, modelli di comunicazione scientifica e tecnologica in rete.
Sui suoi interessi di ricerca cura il blog Tecnoetica.it e scrive sulla testata Agendadigitale.eu.
Fonte: Università degli Studi di Catania link (ndr)

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Paolo Zerbo
Paolo Zerbohttp://zarbos.altervista.org
Paolo Zerbo Direttore responsabile Laurea in Sociologia Communication skills and process model ICT developer
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