Roma, 8 novembre 2021 – I dati del monitoraggio di Stromboli sono stati analizzati con un nuovo approccio dagli scienziati. Lo studio ha evidenziato possibili ulteriori segnali e meccanismi da attenzionare nelle fasi di “irrequietezza” del vulcano (cd. unrest). È questo lo spunto offerto dalla ricerca “The 2019 Eruptive Activity at Stromboli Volcano: A Multidisciplinary Approach to Reveal Hidden Features of the “Unexpected” 3 July Paroxysm”, recentemente pubblicata sulla rivista internazionale ‘Remote Sensing’ di MDPI.
Lo studio, condotto da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Prof. Roberto Scarpa dell’Università di Salerno e con il Prof. Carmelo Ferlito dell’Università degli Studi di Catania, è stato effettuato analizzando a posteriori i segnali che hanno preceduto il parossismo di Stromboli del 3 luglio del 2019.
“Osservando da un nuovo punto di vista i dati che vengono normalmente acquisiti a Stromboli dalle nostre reti di monitoraggio multiparametriche”, spiega Mario Mattia, ricercatore dell’INGV e primo autore della ricerca, “siamo stati in grado di ricostruire la sequenza della fase di unrest del vulcano che ha preceduto l’evento del 3 luglio 2019”.
Analizzando l’insieme dei dati a disposizione (dati geodetici, satellitari, delle telecamere, dati termici e di deformazione del suolo acquisiti tramite strumenti ad alta precisione), i ricercatori hanno scoperto dei possibili cambiamenti nello stato del vulcano evidenziabili nei momenti immediatamente precedenti la crisi parossistica.
“I parossismi come quello del 3 luglio sono particolarmente pericolosi poiché producono dei segnali estremamente difficili da interpretare: si pensi, ad esempio, al conteggio del numero delle esplosioni o degli eventi VLP, ovvero eventi sismici a bassa frequenza tipici dei vulcani attivi, che non vanno incontro a un incremento significativo nelle fasi precedenti un parossismo”, prosegue Mattia. “Partendo da queste considerazioni, ci siamo concentrati su alcuni specifici parametri, come i segnali ad alta frequenza registrati dai dilatometri, ovvero dei sensori posti in foro profondo a circa 200 metri sotto la superficie che misurano le più piccole variazioni delle deformazioni del suolo: abbiamo notato che questi segnali corrispondevano effettivamente a quelli VLP registrati dai sismografi, tuttavia presentavano una forma d’onda specifica che, prima del 3 luglio, è improvvisamente cambiata”.
Inoltre, utilizzando un algoritmo automatico sono state rianalizzate le immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza presenti a Stromboli. In tal modo, i ricercatori hanno notato un incremento nell’intensità e nell’energia delle esplosioni del vulcano già a partire da circa un mese prima del parossismo di inizio luglio.
“A partire da queste nuove letture dei dati già in nostro possesso, quindi, abbiamo proposto un modello denominato ‘push and go’”, aggiunge il ricercatore. “Tale modello prevede la presenza di due tipologie di magma nel sistema di alimentazione del vulcano: una più profonda, estremamente ricca in gas, e una più superficiale che tende a cristallizzare, diventando impermeabile e formando una sorta di ‘tappo’ nel cratere. Nel momento in cui si ha un aumento del flusso di gas, questo inizia ad esercitare una pressione sulla parte sovrastante e, quando la pressione non viene più sopportata, ha origine il parossismo”.
Secondo i ricercatori, è stato possibile rintracciare nei dati dei dilatometri i segnali dell’aumento di viscosità del magma superficiale: con il progredire del processo, le forme d’onda registrate sembrerebbero aver mutato la loro morfologia, presentando via via una forma sempre più smorzata e indicando – questa è l’ipotesi – che qualcosa nella parte più superficiale del sistema di alimentazione dello Stromboli stava cambiando.
“Riteniamo che questo approccio e questo modello proposto possano essere molto promettenti per il monitoraggio dello Stromboli”, conclude Mattia. “Si tratta, naturalmente, di un vulcano caratteristico, con un sistema di alimentazione molto piccolo e non confrontabile, ad esempio, con quello dell’Etna o di altri vulcani. Parossismi come quello del 3 luglio del 2019 sono, inoltre, eventi piuttosto rari, dunque per il momento disponiamo di un numero limitato di dati. Tuttavia, auspichiamo di poter estendere questo nostro studio anche alle esplosioni maggiori di Stromboli, ovvero a quelle esplosioni più forti della normale attività eruttiva ma non abbastanza da essere classificabili come parossismi. Questo ci consentirebbe di rafforzare la nostra ipotesi e di accrescere le conoscenze che abbiamo sulle fasi di unrest di questo vulcano”.
Tale contributo potrà essere utile in futuro per affinare gli strumenti di previsione e prevenzione di protezione civile ma, al momento, non ha alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione.