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Kanèsis e la sintesi dell’oro verde

Sarebbe di interesse universale nella storia dell’umanità scoprire che è stata la coltivazione della canapa a inventare l’agricoltura e di conseguenza la civiltà”. Questa affermazione di Carl Sagan, l’astrofisico consulente della NASA tratta da un libro del 1977 The Dragon of Eden, speculation on the Origin of Human Intelligence ci dà un’idea di quando possa essere antica l’origine della canapa del suo uso e della sua coltivazione. Ne sono stati ritrovati manufatti che corrispondono a 8000 anni prima di Cristo a Catal Huiuk, antica Mesopotamia. Non ha importanza se la canapa è stata la prima o la seconda pianta coltivata dall’uomo ma sicuramente è stata la pianta “più maltrattata” in questi ultimi cento anni. Il divieto di utilizzo in tutto il mondo, una proibizione che di punto in bianco dopo millenni di utilizzo nelle più svariate applicazioni, rese illegale una pianta messa a disposizione per noi dalla Natura.

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I papiri egizi e cinesi, le antichissime mappe cartografiche della Terra, la prima Bibbia di Gutenberg, la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti avevano una sola cosa in comune: la carta era derivata dalla canapa. Per non parlare dei primissimi preparati erboristici che sciamani e curanderos, dalla Siberia al Sud America passando per l’intera Europa, utilizzavano per alleviare le più svariate patologie, e più recentemente almeno la metà dei medicinali usati per tutto l’Ottocento!

Le motivazioni ufficiali certamente saranno state validissime per mettere al bando una pianta che cresce velocemente senza l’ausilio di prodotti chimici, da cui si produce carta di ottima qualità, tessuti resistentissimi, materiali plastici per l’edilizia, combustibili poco inquinanti, medicinali. Con la canapa si produce tutto o quasi tutto quello che si può ottenere dal petrolio e dai suoi derivati con la piccola differenza che questi ultimi hanno un costo e un impatto ambientale incalcolabili, mentre la canapa è naturale e i prodotti di scarto si integrano meglio nell’ambiente.

Il punto è allora, come mai abbiamo scelto la strada del petrolio e abbandonato, anzi sbarrato, la strada della canapa?

Vi lasciamo in sospeso questa domanda e i cento anni di oblio e repressione che ha subito la canapa e procediamo con quello che succede oggi.

La canapa bioplastica è un composito di fibre naturali a prezzi accessibili che può essere utilizzato per sostituire i materiali a base di petrolio. Biodegradabile, riciclabile ed esente da tossine la bioplastica della canapa può aiutare ad affrontare molti problemi ambientali urgenti. Le materie plastiche della canapa sono ricavate dal gambo della pianta. Il gambo fornisce un elevato numero di cellulosa che è necessario per la costruzione in plastica, fornendo sia la forza e la flessibilità. Ciò che rende la canapa davvero brillante è la sua elevata percentuale di cellulosa, unita alle favorevoli caratteristiche di coltivazione e al basso impatto ambientale. Dal seme al raccolto (10-15 piedi di altezza), le piante di canapa impiegano solo 3-4 mesi per crescere. Comunemente chiamata “erba” per un motivo, la pianta di canapa cresce incredibilmente velocemente, e si è adattata a crescere in tutti i continenti. Le piante di canapa sono esperte nell’assorbire CO2 dall’atmosfera, questo le aiuta a crescere rapidamente e a superare le piante concorrenti. Le piante di canapa richiedono anche meno pesticidi, fertilizzanti e acqua rispetto ad altre risorse bioplastiche come il cotone e il legno, fornendo un raccolto più rispettoso dell’ambiente e a bassa manutenzione.

Oggi sono poche le aziende che utilizzano la canapa per la produzione di bioplastiche. Con la canapa spesso erroneamente legata alla legislazione sulla cannabis, questo può portare a difficoltà di approvvigionamento. I sottoprodotti della canapa sono spesso importati da paesi come la Cina e la Francia, dove è più facile ottenere licenze di coltivazione. Ciò può aggiungere costi sufficienti al processo di produzione e ha indubbiamente rallentato le attività di ricerca sull’uso della canapa come bioplastica.

La prima plastica ecosostenibile è stata sviluppata da una startup catanese, Kanèsis, crasi tra la parola canapa e il termine greco κίνησις (kinesis), ossia “movimento”. Un materiale innovativo ideato da un giovane studente di ingegneria, Giovanni Milazzo, e dal suo team.

«Kanèsis nasce dai principi messi in campo da Henry Ford negli anni Trenta con il recupero di scarti industriali di origine vegetale per fare nuovi prodotti green ed eco sostenibili». La sua startup ha vinto il contest “Start Up Academy” dell’Università di Catania ed è composta da un team molto variegato, con chimici, informatici e biotecnologi, ma anche designer, business planner e tecnici alimentari. L’idea è stata quella di realizzare una plastica ecosostenibile proprio dagli scarti della lavorazione industriale di vegetali, tra cui la canapa. Il risultato è un materiale composito termoplastico, con proprietà riconducibili alle plastiche petrolchimiche convenzionali e doti migliorate di resistenza e leggerezza.

Ora torniamo a cento anni fa cioè a quando è iniziata la “maledizione della canapa”.

Siamo nel 1917 (già da circa 50 anni gli americani hanno fondato la prima raffineria petrolifera al mondo e sintetizzato la benzina) quando la Compagnia Du Pont, della omonima famiglia, grazie a finanziamenti della Mellon Bank entra a far parte delle primissime industrie petrolchimiche. La Du Pont per chi non la conoscesse, è la beneficiaria della maggior parte dei brevetti sulle materie plastiche: nylon, rayon, cellophan, vernici, e guarda un po’, della General Motor, una delle più grandi case automobilistiche di allora. Nel 1919 inizia il proibizionismo in America. Un periodo abbastanza lungo e oscuro in cui fu bandito totalmente l’alcol. Non tutti sanno però che all’epoca il carburante e/o combustibile era basato anche sull’alcol etilico, derivante dalla fermentazione di vegetali e cereali, e sull’alcol metilico derivante dalla fermentazione del legno.

Proibendo l’alcol da bere di conseguenza si proibiva anche l’alcol per uso industriale.

Non finiscono qui le coincidenze perché il ‘33 è l’anno in cui termina il proibizionismo ma anche quello in cui Mitscherlich produce quella sostanza scoperta nel 1825 da Faraday: la benzina!

È possibile che il Proibizionismo americano fu inventato per boicottare le “altre benzine”?

Rimane il fatto che effettivamente all’epoca chiunque poteva prodursi in proprio il combustibile…e forse questo poteva dare fastidio a qualcuno. Come dopo l’editto di Costantino in ambito religioso: dopo il proibizionismo inventare un combustibile al di fuori del petrolio sarebbe stata “eresia”.

Comunque sia risolto il problema dei combustibili, rimaneva quello delle materie plastiche di origine vegetale: miscelando infatti steli di canapa e calce si può ottenere un materiale da costruzione simile al cemento ma molto più elastico e leggero. Questo è un altro gravoso problema per l’impero Du Pont che nel 1937 aveva brevettato un procedimento per la fabbricazione di materiali plastici dal petrolio! Come risolverlo?

Cominciò William Randolph Hearst, che attraverso i suoi numerosi giornali divulgò notizie false in merito alla cosiddetta Marijuana. Lo stesso termine Marijuana fu una sua invenzione letteraria. Adottò dal dialetto di Sonora, località messicana famosa oggi come ieri per l’esportazione di droghe, una parola allora sconosciuta e la usò come strumento di propaganda terroristica psicologica. Fa certamente più paura avere a che fare con una sostanza che non si conosce rispetto ad una nota. Menzogne, che rasentavano il razzismo, diffamavano intere popolazioni come i messicani colpevoli secondo Hearst di essere solamente dei pigri fumatori di erba, o che mettevano in relazione le violenze sessuali nei confronti delle donne bianche da parte dei negri all’uso della droga.

L’altro aiuto fu di un certo Harry Aslinger, il fortunato nipote di Andrew Mellon, quello della banca che nel frattempo era stato eletto anche Segretario del Tesoro, che usò gli articoli diffamanti di Hernst davanti al Congresso degli Stati Uniti d’America. Aslinger era a capo del Federal Bureau of Narcotics and Dangerous, l’Ufficio Federale Narcotici, e il risultato fu la famosissima Marijuana Act Tax fu una vera e propria manna dal cielo: tolse dai piedi una scomoda pianta dai mille usi e lasciò all’oro nero la strada sgombra.

Siamo già nel 1956 quando ancora in Italia si coltivava canapa per uso industriale e alimentare; ma siccome i nostri finanziamenti post bellici venivano dagli americani saremmo stati costretti ad eliminare le piantagioni, l’abbigliamento, la cellulosa, per comprare a caro prezzo tutto ciò che era di plastica: ricordate la pubblicità moplen e la modernità del nylon, rayon e del cellophan?

Bene tutto a scapito di una pianta che coltivavamo noi e tutto a favore di centinaia di aziende e/o multinazionali legate al petrolio e all’energia come la Chevron Texaco, Exxon, Mobil, Occidental Petroleum, Teco Energy, Total Fina, Ford, General Electric, che nelle loro filiali italiane di industrie e diramazioni hanno rovinato e indebitato la nostra economia per sempre e conseguentemente inquinato le nostre coste e i nostri mari. Meditate gente meditate.

Bibliografia: The emperor wears no clothes di Jack Herer

Le Società segrete e il loro potere nel XX Secolo di Jan van Helsing

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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