Home Rubriche Psico-sessuologia Mutatis mutandi, è tempo di cambiare le mutande

Mutatis mutandi, è tempo di cambiare le mutande

Mutatis mutandis è un’espressione latina (dal punto di vista grammaticale un ablativo assoluto) che significa «cambiate le cose (mutatis) che bisogna siano cambiate (mutandis)»

Ed è una storia di mutande che vi raccontiamo successa una settimana fa. “Un 27enne è stato assolto dall’accusa di stupro ai danni di una 17enne a Cork, in Irlanda. Ma a scandalizzare l’opinione pubblica irlandese è stato il motivo dell’assoluzione. La prova “schiacciante” usata dalla difesa del ragazzo, ovvero l’indumento intimo indossato dalla vittima. “Guardate il modo in cui era vestita – ha detto la legale Elizabeth O’Connell (sì, è stata anche una donna a proferire la frase che ha fatto infuriare l’intero Paese) – indossava un perizoma con la parte anteriore in pizzo. Le prove escludono la possibilità che lei sia stata attratta dall’imputato e fosse aperta ad incontrare qualcuno e stare con qualcuno?”. Appena la notizia, e l’arringa dell’avvocatessa, sono state diffuse dai media, molte donne irlandesi hanno iniziato a postare foto dei propri tanga su Twitter, utilizzando l’hashtag #ThisIsNotConsent, ovvero “questo non è consenso”. E dopo la protesta social, migliaia di donne – ma anche tanti uomini – si sono riversate per le strade di Dublino e di tante altre città irlandesi. I tanga sono stati sventolati come bandiere, alcuni sono stati anche lasciati sui gradini della scalinata del Tribunale di Cork che ha emesso la sentenza. Una protesta arrivata sino in Parlamento La politica irlandese Ruth Coppinger ha mostrato un tanga di pizzo durante una seduta parlamentare. In video pubblicato su Storyful si vede la politica che chiede: “Perché non è stato fatto ancora nulla per fermare i soliti stereotipi sugli stupri durante i processi? Come pensa di agire il governo sulle possibili future vittime?” La parlamentare ha anche sottolineato come molto spesso le donne irlandesi vengano “incolpate anche durante i processi in cui si parla di stupri subiti”.  Ma la storia delle mutande pervade in maniera atavica l’immaginario sessuale degli esseri umani.  Primo comandamento per l’uomo maschio e se «Le ha o non le ha?». Una domanda in apparenza innocua. A meno che non si parli di una bella donna ed è facile classificare la discussione come sessista e capire dove si vuole andare a parare. L’oggetto della discussione non può essere che uno: le mutandine. Ma le mutande sono anche utili per il benessere del corpo? Devono essere di fibre naturali: cotone, seta, lino così possono prevenire gli sfregamenti e preservano una zona in cui vi sono cute e mucose delicate. Le fibre artificiali invece possono creare problemi, come le allergie. Nonostante l’utilità, però, nel corso dei secoli le mutande hanno avuto alterna fortuna. Gli antichi Romani non le indossavano; in alcuni casi (per fare attività fisica e come costume da bagno) si accontentavano della subligatula (da subligare, cioè legare sotto), un pezzo di stoffa con un capo che cingeva la vita e l’altro che passava in mezzo alle gambe. E i Greci non si ponevano neppure il problema di coprire le parti intime; anzi, almeno in giovinezza le ostentavano. Da adulti indossavano la tunica, ma sotto le donne erano nude mentre gli uomini, a volte, indossavano un perizoma. E a letto si andava rigorosamente nudi. Nel Medioevo le notizie sulla moda intima diventano scarne e contraddittorie. In questa periodo nasce il termine mutanda, che deriva dal latino medievale mutare, che significa “ciò che si deve cambiare”. Lo storico dei costumi sessuali Luciano Spadanuda, nel suo libro Storia delle mutande, racconta che la svolta avvenne nel ’500, con Caterina de’ Medici, moglie di re Enrico II di Francia. Donna fantasiosa e innovativa (e piuttosto libertina), introdusse un modo originale di cavalcare, con il piede sinistro nella staffa e la gamba destra orizzontale sull’arcione. In questo modo però si rischiava di mostrare più del dovuto. Per questo Caterina introdusse l’uso di mutande strette e attillate di cotone o fustagno. L’indumento, chiamato “briglie da culo”, prese subito piede tra le nobildonne di Francia e degli ambienti nobiliari europei, ma degenerò altrettanto in fretta in forme così lussuose e stravaganti (in tessuti d’oro e d’argento) da suonare peccaminoso. Da fine capo per nobildonne, le mutande diventarono così uno strumento di lussuria, bandiera delle prostitute. Così le mutande persero popolarità: all’inizio del ’700, si stima, le indossavano solo 3 nobildonne su 100. Il loro ritorno definitivo si colloca all’inizio dell’800, ed è legato all’avvento delle crinoline, le gabbie da infilare sotto la gonna; era necessario indossare qualcosa sotto che salvasse il pudore in caso di colpi di vento o scale ripide…

A Parigi, nel secondo Dopoguerra, non tutte le ragazze che andavano a ballare nei locali potevano permettersele. E quindi vi erano mutandine “collettive” dietro il bancone che potevano essere indossate a turno dalle clienti. Dagli anni ’60-’70 gli slip sono entrati a pieno diritto nel vorticoso giro della moda. Gli anni ’90 sono anche quelli degli eccessi: dagli Usa arrivano gli slip che si possono mangiare, aromatizzati in vari gusti. Il Giappone nel 1993 fu invece costretto a varare una legge che impedisse di vendere in distributori automatici per strada gli slip usati delle studentesse (con tanto di foto della proprietaria), articoli che comunque nel Paese del Sol Levante hanno ancora un mercato sotterraneo. E sono richiesti anche da noi, visti i siti internet nostrani che li propongono.

Ci sono almeno due giorni in cui può capitare di trovare gente in mutande sulla metropolitana. Il primo è a gennaio, in occasione del No pants Subway Ride, un’iniziativa stravagante promossa dagli amanti del metrò. Il secondo è il No Pants Day, la festa senza pantaloni, celebrata in vari Paesi il primo venerdì di maggio.

Ma ai nostri giorni, sempre dal Giappone, arrivano anche le mutande anti peti, agghiaccianti bragoni contenitivi realizzati con un tessuto in poliuretano e nylon che trattiene l’aria e che accumula i gas maleodoranti in un’opportuna tasca dove sono “ripuliti” grazie a un filtro ai carboni attivi. Nel 1995 appare anche la mutanda che alza il sedere (nella foto di copertina) il corrispettivo dell’analogo indumento per il seno. Valentino propone uno slip maschile imbottito davanti, e Calvin Klein una linea di boxer per arrotondare i fianchi e ingrossare il “davanti”. Ma forse la mutanda meritava una degna collocazione, e per questo nel 2009 è nato a Bruxelles un museo apposito. Il controverso artista belga Jan Bucquoy ha raccolto e messo in cornice una dozzina di slip appartenenti a personaggi belgi di rilievo. Un paio di anni fa si è parlato di un analogo museo a San Marino, la proposta è affondata nei meandri della mutatis mutandi.

Exit mobile version