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Lolita, il romanzo di Nabokov, il film di Kubrick, il sexting e il revenge porn

Lolita è un romanzo di Vladimir Nabokov pubblicato a Parigi nel 1955. Il romanzo suscitò uno scandalo per il contenuto scabroso per la passione di un uomo maturo nei confronti di un’adolescente. Il narratore è un professore di letteratura di trentasette anni che diventa ossessionato da un’adolescente, Lolita, con la quale intreccia una relazione sessuale dopo esserne diventato il patrigno. Lolita di cui il vero nome è Dolores, è il soprannome che l’uomo dà in privato alla ragazzina. Il termine “Lolita”, a causa della trasposizione cinematografica di Stanley Kubrick,  diventerà famoso entrando nella cultura di massa e nel linguaggio prendendo il significato in ogni cultura, di una “diabolica ninfetta”, piccola seduttrice, non si capisce fino a che punto inconsapevole, una giovane sessualmente precoce, attraente che utilizza il suo potere per smuovere “uomini e cose”. L’opera letteraria era caratterizzata dalla ricerca dei particolari e dall’approfondimento della psiche e dei sentimenti dei protagonisti, dall’uso sapiente dell’arma dell’ironia che smorzava i passaggi più scabrosi. Negli Stati Uniti nel 1956 fu etichettato, dalle proteste, e dalle severe condanne dei benpensanti che lo definirono un “libretto pornografico”. Il romanzo divenne un best-seller tradotto in 30 lingue, con oltre 50 milioni di copie vendute in tutto il mondo. La passione del professore Humbert, un amore ideale, sublime anche se fondamentalmente distorto, la proiezione dei suoi desideri, il suo “alter ego”, inconsistente nella sua realtà, per cui ogni  tensione è inutile per un “possedimento totale”, come è inutile quella lunga corsa verso “la giovine oggetto delle sue brame”,  non approdando né a una conciliazione, né alla conoscenza di sé stesso. Humbert il maliardo, il predatore, alla fine è lui il predato, l’ammaliato. Le parti si pospongono perché Lolita, gli rivela il ruolo di “gioco” che per lei ha sempre rivestito ogni seduzione e fascinazione, ereditata dalla madre che ha da sempre esercitato questo “ruolo” per “abbindolare” in primis, il favoloso fantastico marito, e poi lo stesso Humbert, da “anziana Lolita”.

 

Nabokov, l’autore del libro, chiaramente autobiografico, mette in discussione la realtà e la sua ineffabilità, in un rapporto con quanto appare, rigurgito di un sogno, di una fantasia. Lolita è una creatura capricciosa, imbronciata, civettuola, anche del ventunesimo secolo. Si fa inseguire “per gioco” in un lungo viaggio grottesco che porta il professore alla protogenitrice Eva, sfuggendo, ancora una volta alla mano dell’Uomo, il suo svirgolato Adamo. Il professore assiste al suo spaesamento, alla sua perdita, alla sua sofferenza. Lolita ha dalla sua parte la giovinezza invincibile ed insuperabile e la sublime arte del “riso dissacrante”. È una ninfa, o meglio una “ninfetta”. E qui vi raccontiamo il ruolo della “ninfa” secondo i greci, oltre che essere protettrici dei boschi, dei monti, delle acque e delle sorgenti, degli alberi, ma anche delle regioni o delle città o degli stati, il loro “ruolo”, è quello di scappare dai satiri, personificazione della fertilità e della forza vitale della natura, connessa con il culto dionisiaco. Per quanto riguarda il film di Stanley Kubrick, appunto Lolita, i dibattimenti, sia dall’autore del libro che voleva determinate condizioni, sull’età della “ninfetta”, che dalla Chiesa Cattolica, che ne voleva altre, perchè chi vedeva il film sarebbe caduto in peccato, il film venne girato in Inghilterra, dove la protagonista Sue Lyon, scomparsa recentemente nel dicembre 2019, avrebbe avuto 14 anni e poi 15 al termine delle riprese, a condizione che sul materiale pubblicitario del film fosse ben evidenziato il divieto per i minori di 18 anni. Siamo nel 1962 e per chi oggi abbia visto il film, quello originale, possiamo dire, nonostante lo scadente remake del 1997, che lo scandalo riguarda più il pensiero, l’idea, il “correlato monumentale immaginario”, che ancora oggi le nostre “figlie” portano sul loro frustrato “esibizionismo” di ragazze etichettate come “lolite”, “facili”, “disponibili”, “poco serie”.

 

Vi immaginate Lolita che avrebbe ripreso il suo professor Humbert nel suo profferire le richieste “hot”? Cosa avrebbe potuto fare rispetto allo “scandalo” quotidiano programmato dal sexting di quando i ragazzi che si frequentano sono in pace, e di pari età parliamo, fin quando si lasciano e si odiano in revenge porn?

I nuovi mezzi social che permettono a chiunque abbia la pratica di dita mobili e indagatorie di esporre il proprio corpo a rispecchiamenti e foto sulla propria condizione, pone, chi ne abbia la potestà, e di minore età parliamo, di porre veti e quant’altro, sulla diffusione, di ciò che un giorno, meglio in un attimo, le porterebbe, (ma anche li porterebbe perché i minori vanno tutelati a prescindere dal genere), a conseguenze disastrose. Spiegare ad un minore che fa sexting, e che preso dalla follia amorosa, non corrisposta, vorrebbe fare “revenge porn”, potrebbe portarlo/la a conseguenze legali, diffamatorie, denigratorie, per il suo futuro professionale e sentimentale, difficilmente rimediabili. Spiegarlo tramite narrativa e film, come esempio, che cioè prima di loro, c’è stato chi ha provato gli stessi sentimenti, sensazioni, impulsi, “perversioni”, potrebbe essere il primo passo per una sorta di prevenzione.

 

Anche proporre un pomeriggio sul: disegno di legge sul cosiddetto “revenge porn”, approvato in via definitiva il 17 luglio 2019,  che introduce due fattispecie di reato diverse come “la diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate da parte di chi queste immagini le ha realizzate e da parte di chi le riceve e contribuisce alla loro ulteriore diffusione al fine di creare nocumento alle persone rappresentate”.

Non credo che esista un modo preciso per aiutare i genitori alla crescita dei propri figli in questa era internet dove tutto è concesso, ma non tutto è legale, etico e privo di senso di colpa, sull’agito e sul non agito, cioè sul “lasciar correre”. Ma informare i nostri figli nel momento e nel modo giusto, credo che sia la strategia migliore. La letteratura e i film possono aiutarci in tal senso ad essere comprensivi, obiettivi, senza causare obiezioni e opposizioni tipiche dell’età degli “ormoni” compulsivi e lasciare ai “minori”, la possibilità di “scegliere”, secondo le loro attitudini e possibilità. Dopotutto quando erano infanti non gli raccontavamo le favole? Non è infarcita ogni religione di parabole ed esempi su quello che è capitato a qualcun altro? Qual è la funzione del racconto? Quella di portare ogni nostro discepolo, pur se chiamato figlio o figlia verso la possibilità di scegliere il proprio destino.

 

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