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Come diventai “La Signora delle Camelie”, diretta da Matteo Tarasco, in scena stasera al Teatro Brancati

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La storia della Signora delle Camelie è una storia antica di mercificazione del corpo femminile. Nasce nel 1848 a “causa” del romanzo di Alexandre Dumas che dopo una relazione con una giovane cortigiana, ne descrive una storia d’amore e morte con immagini per l’epoca fortemente trasgressive: un’immagine tra tutte la descrizione realistica e puntigliosa dell’apertura della bara della povera Marguerite, la protagonista della storia, ormai defunta da tempo. Considerando che la storia delle “mantenute” dal tipico signorotto di tutte le epoche non avrebbe fatto scalpore nei secoli precedenti, soprattutto nel settecento, epoca di grande libertà sessuale per uomini e donne di qualsiasi ceto sociale, il nostro Dumas poteva aver fortuna soltanto nell’ottocento, secolo in cui a causa del periodo vittoriano, la rilassatezza dei costumi sessuali ebbero una repentina eliminazione.  La letteratura, l’arte, la musica e la poesia dovettero nascondere i propri moti pruriginosi dietro la sublimazione del romanticismo. La trama semplice e folcloristica dove il narratore, che parla in prima persona, è uno spettatore ma anche attore della storia perché, dopo aver acquistato un libro appartenuto alla giovane cortigiana morta, viene in contatto con il suo ex amante Armand Duval e da questi ne conosce la storia: ragazza mantenuta da un ricco duca vive tra agi e trasgressioni finché l’amore del giovane Armand la convince a cambiare vita. E il padre di Armand costringe in segreto Marguerite a rinunciare al giovane per la sua vita e carriera sfolgorante che l’aspetta nella borghese società dell’epoca. Non era ancora arrivato il fenomeno delle Milf (è un acronimo tratto dal linguaggio gergale anglo-americano che indica l’espressione: Mother I’d Like to Fuck, riguarda generalmente donne mature considerate sessualmente appetibili da maschi più giovani) per cui la nostra Marguerite era solo una signora di una certa età, una volta chiamate “nave scuola”, più grande del nostro Armand di almeno 15/20 anni di grandi e dichiarate capacità ed esperienze sessuali, con una brillante e sagace conversazione e quindi con una cultura elevata rispetto alle donne dell’epoca. Pensate che era chiamata “La signora delle camelie” perché durante i balli le cene in cui lei era presente, come una leggiadra Etèra, appuntava sul suo vestito una camelia bianca se era libera o una camelia rossa se era occupata.

Chi erano le Etère? Nella società dell’antica Grecia, erano particolari donne di compagnia, per alcuni aspetti assimilabili a cortigiane e prostitute. Erano delle sofisticate donne che, oltre a prestazioni sessuali, offrivano compagnia e spesso intrattenevano con i clienti relazioni prolungate. Era l’unica tipologia femminile che poteva realmente dirsi indipendente, a volte riuscendo anche a esercitare un’influenza notevole sui personaggi pubblici di una certa rilevanza tra quelli frequentati; indossavano sempre abiti di prima qualità e dovevano pagare le tasse sui proventi dei loro uffici. Per lo più si trattava di ex-schiave, (magari principesse e regine di altri popoli dominati), ed erano famose per le loro spiccate capacità nell’arte, dalla danza alla musica, così come per i loro talenti sia fisici sia intellettuali. A differenza della maggior parte delle altre donne della Grecia antica, le Etère avevano ricevuto un’educazione ed erano quindi assai colte. Erano infine l’unica classe di donne nella Grecia antica con un accesso e un controllo indipendente a considerevoli quantità di denaro. Potendo gestire autonomamente i propri averi, al contrario delle donne comuni, a volte arrivavano a creare delle vere e proprie aziende di accompagnatrici; potevano essere delle compagne occasionali oppure concubine, potevano uscire a loro piacimento, avere una vita pubblica, coltivare libere frequentazioni e prender parte attivamente al Simposio maschile dai quali le donne comuni erano invece escluse, ove il loro parere veniva accolto e rispettato da tutti gli uomini senza discutere.

Quindi Marguerite era una “professionista Etèra”; probabilmente avrebbe potuto vivere di rendita per le fortune accumulate nella sua “dissoluta” vita precedente ma il giovane Armand, (proiezione del nostro Dumas) sempre povero in bolletta, la pecora nera della famiglia nobile di appartenenza, spina nel fianco del padre aduso a contrattare matrimoni speculativi, il nostro Armand, aveva necessità di proferire in maniera ribelle la propria autonomia ed indipendenza, salvo poi redimersi, per “acclamata infedeltà” dell’amante. Infedeltà che Marguerite dichiara falsamente ad Armand, irretita dalle doglianze del padre, per allontanare il giovane “momentaneamente deviato dai propri doveri” dettati dalle origini “della onorata famiglia”.

Il nostro Giuseppe Verdi, visto il successo del romanzo, ne fece un’opera lirica: La Traviata cambiando il nome da Marguerite a Violetta Valery della sfortunata protagonista. La storia era perfettamente uguale da trafiletto di giornale scandalistico: donna traviata irretisce giovane di buona famiglia, ma presa da imponderabili rimorsi recede sui suoi passi opportunamente “morendo di tisi e di stenti” dopo aver dichiarato la propria irredimibile infedeltà e di propensione al “vizio”. Perché si sa, chi ha fatto la “mantenuta” ha bisogno degli sfarzi che il contante inadeguato, di Alfredo, (da Armand per evitare il plagio, Giuseppe Verdi, cambia il nome dell’amato) momentaneamente diseredato, non può ottemperare.

Ma in tutto questo dichiarato “femminicidio” dell’epoca quali furono i risvolti, le indicazioni, la morale che dovettero subire le nostre antenate?

Ricordiamo che ancora oggi le canzoni, i film, i romanzi, gli sceneggiati, sono gli esempi che forgiano in qualche modo il nostro modo di pensare e di essere al femminile, al di fuori della famiglia e del contesto sociale in cui viviamo.

Immaginate all’epoca, e stiamo parlando di donne della società medio/alta borghese che sapevano leggere e di quelle che andavano all’opera, anche popolane, che non sapevano leggere, in cui soltanto i romanzi e le opere liriche erano l’unico tramite di un pensiero laterale diverso, off family, come direbbero gli addetti ai lavori. Immaginate come le nostre antenate si immedesimavano nelle eroine dei romanzi e delle opere liriche e di conseguenza reprimevano i loro ardori e le loro aspirazioni. Anche nel diventare una Marguerite o una Violetta Valery. Come si dovevano sentire? Se non votate ad un matrimonio deciso dalla famiglia, magari frustrante con chi non amavano e che non gli piaceva proprio, rispetto ad una vita all’inizio colma di piaceri e gratificazioni ed una fine misera sicuramente dannate dalle fiamme dell’inferno?

Secondo la morale cristiana il pentimento, quello vero conclamato dal sacrificio, e quindi la redenzione resta sempre un escamotage valida. Da tenere presente se si vuole dar luogo durante la nostra permanenza in questa dimensione terrstre al “nostro libero arbitrio di donne amanti goderecce prima e donne redente martiri poi. Da meditare.

E se volete saperne di più da stasera La Signora delle Camelie, diretta da Matteo Tarasco, con Marianella Bargilli, Ruben Rigillo, Silvia Siraco e con Carlo Greco fino al 23 dicembre al Teatro Brancati.

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