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Aspettando il 23 gennaio sulle tracce di Giovanni Anfuso durante le prove di “Agata, la Santa fanciulla”

Preso costantemente dalle prove dell’imminente “figlia” che sta per nascere, il 23 gennaio la prima, alla Badia di via Vittorio Emanuele, un’intervista volante al regista Giovanni Anfuso sul luogo dove la storia di Agata, La Santa fanciulla è stata costruita pezzo per pezzo emozione per emozione da quel “folle perfezionista maniacale” come lui si definisce.

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Da dove nasce l’idea dello spettacolo?

È stato da un incontro fortuito che è nato il mio incarico per lo spettacolo, anzi del dramma religioso, tra il segretario del vescovo padre Massimiliano Parisi che ha espresso il piacere, il desiderio che la nostra compagnia e i produttori con cui collaboro da tempo, il dott. Luciano Cadotti e il dott. Ninni Trischitta, realizzasse uno spettacolo su S. Agata. Sono stati loro che mi hanno detto: “Sappi che farai uno spettacolo su S. Agata”. È andata proprio così. Mi sono ritrovato felice e impaurito con tanto tremore, come ho già ribadito, dovevo confrontarmi con un universo dove ciascun catanese si ritiene possessore della verità assoluta. Il segretario mi ha messo in mano gli Atti del Martirio e col commentario di padre Consoli, a quello mi sono attenuto in maniera rigorosa.

Abbiamo quasi tutti una vaga idea della storia di S. Agata di come ce l’hanno raccontata, di come è stata tramandata: tu hai scoperto qualcosa?

Ho scoperto chiuso all’interno della biblioteca centrale a Roma a Castro Pretorio che esiste sulla figura di S. Agata una letteratura incommensurabile! E mi ha sorpreso che oltre agli italiani, i francesi, i tedeschi, gli inglesi, gli statunitensi, i canadesi, i nordafricani hanno scritto su di Lei. Cosa fosse vero e cosa fosse falso? Valicando tutti i confini dove ogni storia si presta alla venerazione e alla mistificazione e la stragrande maggioranza di informazioni o non è vera o non è verificabile. Ciò che resta è poco e soprattutto poco teatrabile. Un meraviglioso studio canadese sul nome Agata interessantissimo ma senza alcuna valenza teatrale. Gli Atti del Martirio sono come un dispositivo di una sentenza: sarà pure interessante, sarà certificato, ma resta comunque un atto sterile. Ricavarne un dramma non è stato facile, per chi come me non si è mai occupato di drammi sacri, in Italia esiste un Istituto per il Dramma Sacro con degli specialisti. Ho cercato di costruire alla maniera del teatro classico un percorso che si snodasse su due fronti: gli Atti del Martirio e la chiesa catanese le autorità civili e i vertici inglesi durante il periodo della liberazione quando le truppe alleate sono entrate a Catania. In epoche incrociate durante il 1943 e il 251 d.c. si snoda l’ora del nostro spettacolo.

Quali sono state le tue emozioni rispetto alle scoperte che hai fatto sulla fanciulla Agata?

Io sono molto affascinato più che dai personaggi intorno alla vicenda di S. Agata, sono veramente commosso dal messaggio che travalica ogni tempo e confine. Un messaggio di coerenza, di pace è fortissimo, oserei dire che la violenza di Agata sta nella sua coerenza e nel perseverare in un’azione pacifica come portatrice di pace: tutto questo è molto contemporaneo. Agata ha subito un martirio e penso a tutti i martiri sconosciuti dei nostri giorni per il proprio credo, per la religione ma anche si viene martirizzati perché si fugge dalla guerra, penso a quei ragazzi…

Appunto per questo mi verrebbe di fare un’intervista a S. Agata: e chiederle ma tu cosa ne pensi? Dove noi uomini abbiamo sbagliato? Mi viene di chiedere “aiuto” ad-iutum alfine di essere utili: cosa possiamo fare? Il messaggio di Agata lo tradurrei con un ossimoro: la sua è una violenza portatrice di pace, un urlare alle nostre orecchie irrimediabilmente sorde. Questo mi ha colpito e questo che sto cercando di fare poi dal fare, al riuscirci… questo lo potrete stabilirete voi spettatori. Per il momento ci sono le solite sedute di prove molto lunghe, certosine qualche volta con qualche tensione come succede quando si è sotto debutto…

Si sentono rumori di sottofondo durante l’intervista, ma che state facendo?

Sono alla Badia stanno sistemando una pedana come prolungamento dell’altare, perché lo sai i registi sono pazzi fanno cose assurde, richiedono cose incredibili, ma a te che ne conosci tanti, che te lo dico a fare?

Ma per la Santuzza affinché la sua storia possa veramente “uscire fuori” come messaggio di pace ed essere diffuso in tutto il mondo, questo e altro.

 

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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