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HomeRubricheL'avvocato rispondeLa legge Pinto quale rimedio ad un processo troppo lungo

La legge Pinto quale rimedio ad un processo troppo lungo

  1. Che cos’è

La legge (L. 24/03/2001, n. 89) in esame contiene un procedimento per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dall’irragionevole durata del processo e scaturisce dalla necessità di tutelare il principio di ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 6 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e dall’art. 111 Cost. .

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2. Il procedimento delineato dalla L. Pinto si applica a: controversie civili, procedimenti penali, procedimenti amministrativi, procedure fallimentari, procedimenti tributari.

  1. Durata ragionevole di un processo

Il termine di ragionevole durata del processo si considera rispettato se non eccede la durata di:

3 anni per i procedimenti di primo grado;

2 anni per i procedimenti di secondo grado;

1 anno per il giudizio di legittimità (Cassazione)

3 anni per i procedimenti di esecuzione forzata ;

6 anni per le procedure concorsuali.

In ogni caso, il termine ragionevole è rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a 6 anni.

  1. A chi si propone il ricorso

La competenza a decidere sui ricorsi per equa riparazione spetta al Presidente della Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il Giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto. Il Presidente della Corte d’Appello o un diverso magistrato designato, deve pronunciarsi sulla domanda di equa riparazione entro il termine ordinatorio di 30 giorni dal deposito del ricorso.

  1. Presupposti

La proposizione della domanda di equa riparazione è subordinata alla sussistenza dei seguenti presupposti:

– irragionevole durata del processo;

– attuazione dei rimedi preventivi

– esistenza di un danno;

– nesso causale tra l’irragionevole durata del processo ed il danno.

  1. Danno risarcibile

La legge sancisce il principio della risarcibilità, a seguito della violazione della Convenzione EDU, del danno patrimoniale e non patrimoniale, da ripararsi ex art. 2056 c.c.

Il danno riparabile è solo quello subito nel periodo eccedente la durata ragionevole del processo.

Il ricorrente può chiedere la riparazione del danno patrimoniale nelle sue accezioni di danno emergente cioè la perdita economica subita e lucro cessante cioè il mancato guadagno quali conseguenza immediata e diretta della violazione del principio di ragionevole durata del processo.

La L. Pinto consente inoltre la riparazione del danno non patrimoniale nelle sue accezioni di danno morale, nell’ accezione di turbamento dello stato d’animo della vittima, danno biologico quale lesione dell’interesse all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad accertamento medico e danno esistenziale quale lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti la persona. L’onere della prova del danno biologico, esistenziale e morale gravi sul ricorrente.

  1. Accoglimento e calcolo dell’indennizzo

L’indennizzo è determinato ex art. 2056 c.c. tenendo conto di:

– esito del processo in cui si è verificata la violazione;

– comportamento del Giudice e delle parti;

– natura degli interessi coinvolti;

– valore e rilevanza della causa.

Il Giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro, non inferiore a 400 euro e non superiore a 800 euro, per ciascun anno o frazione di anno superiore a 6 mesi che eccede il termine ragionevole di durata del processo .

  1. Rigetto

Il Giudice, con decreto motivato, rigetta la domanda in caso di:

– mancanza dei presupposti;

– mancata risposta all’invito ad integrare le prove;

– non sussistenza della prova del danno.

Se il Giudice respinge in tutto o in parte la domanda di equa riparazione, questa non può più essere riproposta ma il ricorrente può proporre opposizione.

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Claudio Basile
Claudio Basile
Avvocato Claudio Basile Per info e contatti: [email protected]
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