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Cronaca di un “furto annunciato”: la vera storia dell’ombrello di lusso “rubato” di faccia a faccia

Una presentazione di un libro, quando si poteva fare, pioggia a tempesta, la vittima che va col suo bell’ombrello Borbonese grazioso e prezioso regalo di un amico scomparso. Finisce la presentazione e la vittima si trattiene a chiacchierare amabilmente con il libraio. Succede una cosa strana una “signora” si ferma all’ingresso a sistemare la borsa: la vittima si distrae un attimo e poi torna a parlare con il libraio. Quando starà per andare via cercherà il suo meraviglioso ombrello e non riuscirà più a trovarlo. La “signora”, la ladra di strada che la vittima ha visto chiaramente, e che ha stampata nella sua “memoria fotografica”, non si era fermata a sistemarsi la borsa ma si era fermata per rubarle l’ombrello. Indignata sì indignata apre un dibattito con sé stessa, l’immaginario libraio, detto l’intellettuale e l’immaginifico amico, detto il “catanese furbetto”. Premesso che ogni riferimento è puramente casuale vorrei che rifletteste insieme a lei e con il suo ragionamento.
Quindi ricapitoliamo i protagonisti della vicenda sono: la vittima del furto, la ladra, l’intellettuale, il furbetto, e l’ombrello B.
Quando la rabbia sfuma la vittima decide che quello che le è successo va raccontato nella sua dinamica e nella sua riflessione psicologica, sociologa e antropologica.
Il punto di vista:

  • l’intellettuale dissociato dice alla vittima: “è un oggetto, non puoi incazzarti in questa maniera, gli oggetti vanno e vengono quello che è più importante è che tu non hai cambiato il tuo status con o senza l’ombrello B. resti e sei una persona per bene, nella tua esistenza e resistenza”.
  • il furbetto catanese dice alla vittima: “la signora è stata una brava ladra! È riuscita a fregarti perché è così che si fa quando se ne ha la possibilità”.
  • la ladra forse cleptomane dice alla vittima (implicitamente): “non si lasciano gli ombrelli Borbonesi “incustoditi” perché sono di chi li trova, come le biciclette, i motorini, le automobili e le colombe di Pasqua che se sono esposte sul marciapiede sono di tutti”.
  • la vittima beffata dice a sé stessa: “di solito qualsiasi oggetto nella nostra città viaggia sempre sotto la mia supervisione: ma basta distrarsi un attimo e qualcuno ti frega sempre”.
  • l’ombrello Borbonese dice a sé stesso: “sono un oggetto costoso provoco facilmente le ladre a rischiare la propria dignità perché possedermi ti fa diventare elegante e sicura di te, anche se per il resto sei una disadattata, ignorante e abbrutita dalla vita!”
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Da un punto di vista psicologico ognuno di questi protagonisti rappresenta la punta dell’iceberg della nostra bella Sicilia e per certi versi anche della nostra penisola.
Gli intellettuali, che si sono esiliati in una bolla dove si autoreferenziano tra di loro: asfittici, incapaci di avere contatti con altri che non siano “loro”. Le magagne di questo sistema di “burocrazia culturale” si vedono meglio ora che tutte le “favolose” attività culturali, artistiche e teatrali si sono fermate a causa della pandemia. Se ci fosse stato uno scambio culturale tra le varie culture di una stessa città, anche il sistema virtuale, avrebbe retto, avrebbe prolificato. Mentre la mancanza di progettualità congiunta tra le varie agenzie culturali, dimostra che c’è solo “aridità culturale”. Tutti i vari tentativi online tranne qualche eccezione non fanno altro che amplificare questa “stipsi” culturale.  I furbetti catanesi sono quelli che la loro “cultura” è quella di dover “fregare” l’altro. Loro non lo sanno, o fanno finta di non saperlo, che gli altri siamo sempre noi e che semmai c’è da guadagnare con la cultura esistono dei progetti finanziati nel tempo e nello spazio dalla comunità europea per esempio, che per colpa “loro” negli anni sono andati persi, restituiti i soldi e non hanno prodotto rete. Ora, sono gli affamati del reddito di cittadinanza e di tutti gli assistenzialismi su cui poter come sempre lucrare e poter utilizzare in maniera inutile nonché dannosa.
Le ladre di strada, che sono di due tipi: “le bisognose” povere che rivendono quello che rubano per sfamare sé stesse e la famiglia; e le cleptomani perverse, che hanno tentativi ricorrenti di resistere a tale impulso di rubare qualcosa, una sensazione di tensione crescente che sfocia proprio nell’atto del rubare e una successiva sensazione di piacere; gratificazione o sollievo subito dopo i furti non sono dovuti ad allucinazioni o deliri, e nemmeno a moti di rabbia o vendetta. Chiaro che il disturbo è collegato anche a disturbi della “libido”.
La vittima, che si sente danneggiata e beffata con moti di rabbia o di vendetta come “Il mio motorino” di Antonio Albanese. La rifacciamo liberamente così dedicato all’ombrello B.  “Tu non puoi nasconderlo, non puoi usarlo, puoi venderlo e tenerlo, puoi farci ciò che vuoi, ma resta sempre il mio ombrello e a ricordartelo saranno le mie maledizioni. Le maledizioni che si attaccheranno al suo pomello di legno pregiato e che ti si buchi durante una tempesta di pioggia di lava mista alla grandine e che ti provochi un’emicrania perpetua, di farti muta ma non per sempre: che la voce ti venga sporadicamente e per pochi secondi, nei quali tu sparerai cazzate immani. E che uno stormo di piccioni incazzati ti scambi per l’assessore all’ecologia riempiendoti integralmente di scacazzate cosicché tu debba scappare con il mio ombrello scivolando su di esse impastandoti tutta tale da buttare te stessa in un cassonetto di spazzatura indifferenziata e farti la multa con tre mesi di lavori inutili presso un inceneritore”.
Se queste cose le pensate e non le dichiarate tutti i malfattori continueranno a fare quello che fanno indisturbati nelle loro problematiche di Disturbo Antisociale di personalità. Chiaramente includiamo tutte le categorie di cui abbiamo parlato che i ladri sono di varie personalità: la cultura, l’arte, il teatro, i soldi pubblici e gli ombrelli, ce li potete restituire?

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