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Thanatos razionale

Secondo un principio che deriviamo dalla metamatematica di Kurt Godel, se si desidera capire come funziona un sistema bisogna uscire dal sistema. Semplificando il problema “morte”, se si vuol avere un’idea della morte è necessario trarsi fuori dal sistema-vita. Ma per trarsi fuori dal sistema-vita bisogna conoscerla bene, circoscrivendola nella sua essenziale verità.

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Ma è possibile conoscere la verità del sistema-vita?

Qualora esistesse la possibilità di pensarla sì. Distinguiamo innanzi tutto Ragione e Pensiero. L’una determina l’agire fissando scopi, l’altro invece costituisce lo sfondo della totalità in cui la Ragione si inscrive, ma che oltrepassa la stessa ed è sovradeterminante.

La sovradeterminanza è condizione della Ragione, che non conosce limiti se non quelli che la Ragione inventa, in altre parole il Pensiero è l’intuizione del Tutto e il sapersi Tutto.

Ora, se il Pensiero è la conoscenza e coscienza convibrante con la totalità dell’esistente, in definitiva è l’esistente, la Ragione è l’agire in cui si costituisce e organizza il sistema-vita. Della vita infatti sappiamo solo come essa è: artificio. Del suo apparire come Nascita e scomparire come Morte, di cui la biologia non sa nulla, il Pensiero invece sa tutto.

Alla nascita esperiamo subito che l’intera esistenza – l’esistenza dell’individuo-tipo della società occidentale – è completamente strutturata, domesticata, istruita nella sua endogenicamente correlata tecnosfera. La vita è sovradeterminata dalla Ragione tecnosferica. Ma esperiamo tecnicamente la “vita”, se il corpo vivente comincia a star male, ad ammalarsi, a ferirsi, a morire nei milioni di modi in cui la “vita” gli “dona”; esperiamo la Morte se assistiamo al morire altrui – che scava sempre dentro il fondo del Pensiero e ci raccoglie nello spazio del logos della Morte, per breve tempo, per poi abbandonarci all’unica esperienza che la Ragione conosca della Vita e della sua Morte: il Thaumàzein – cioè il Terrore  (non la “meraviglia”, ché in greco e in Aristotele Thaumàzein significa proprio terrore, infatti la filosofia non nasce dalla “meraviglia”, ma dal terrore della morte, del dolore, della malattia, dell’annientamento, insomma).

La Ragione inoltre è la grande capacità di gestire e manipolare la Morte.

Dallo sforzo di neutralizzarla, evitarla o sconfiggerla in un modo o nell’altro, allo sforzo di usarla – usarla all’interno della interpretazione razionale della Morte, cioè fine della vita – inventandosi i modi per uccidere la vita: dall’atomica ad Auschwitz o dalla cicuta alla povertà inflitta. Ed esattamente come la Ragione disconosce Eros allo stesso modo respinge Thanatos, proprio conferendogli il razionale finis vitae, cioè il suo non-essere, il suo semplicemente “essere” assenza di vita, sua cessazione per accidente o esaurimento e decadimento biologico – il “programma” del genoma umano conterrebbe il calendario dell’inizio e della fine!

Per tale motivo, all’interno di questo motivarsi della Ragione, tutta l’esistenza che dal non essere viene all’essere è domesticabile, manipolabile, utilizzabile, annientabile. Dopo l’uso, gettare nell’apposito cassonetto.

La Ragione del tipo umano occidentale è semplice: è la funzione mediante la quale io prendo atto di qualsiasi cosa sia strutturale dell’ordine delle cose: dio, la patria, la finanza, la famiglia, l’automobile, il lavoro ecc. Non mi si chiede di pensare. Ma di ragionare. E ragionare è capire, cioè prendere atto, punto. Si nasce e si muore, naturale. In mezzo si è qualcosa e che si sia prete, moglie, barbone, presidente, avvocato, professore, portinaio, drammaturgo, baby-Sitter, gatto o mucca è perfettamente “naturale”, cioè razionale.

Thanatos, sotto questa luce non esiste, o meglio è il non esistere.

Ma alla luce del Pensiero Thanatos cos’è?

Non in senso freudiano, ma in senso filosoficamente musicale diremmo che Thanatos sia una necessità TONALE di Eros.

Con i suoi gradi.

Si muore a esistenze insopportabili o inutili, smascherate, morendo ci si “denuda” finalmente a sé stessi e alla realtà, si muore a stadi dell’esistenza che devono essere abbandonati, si muore alla Caverna e si rinasce ad altro. Come questo “me” che morì alle sue “coscienze” passate, la Morte è questa stessa “uscita” e, come questo mio io empirico non sapeva chi sarebbe stato fuori dalla Caverna e cosa sarebbe accaduto, così noi non sappiamo nulla del “paese da cui nessun viaggiatore è mai tornato”.

Ma come dice Eraclito: “Quello che noi non sappiamo o speriamo non va confuso con quello che non esiste e intuisce il Pensiero”.

 

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