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Paideia: la corruzione dell’educazione

Nell’Atene del V secolo a. C. Aristofane, il genio ellenico della commedia classica, riusciva a mettere in ridicolo lo scontro tra la vecchia educazione, la paideia tradizionale, e la nuova, quella propalata dai Sofisti, assistendo impotente alla fine di un’età in cui l’eredità spirituale del passato veniva distrutta da innovatori capaci solo di formare al culto di sé stessi, all’ambizione e al cinismo.

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Il processo della Paideia Ateniese, codificatosi già all’inizio del secolo V, in cui si studiavano i poeti, la musica e si praticava la ginnastica e l’arte militare, molto diverso da quella Spartana, stava a fondamento della democrazia come sistema in cui gli uomini “liberi” del demos, in base al censo, avevano il diritto di decidere nell’assemblea dell’agorà.

Non è peregrino, come spiegò poi Aristotele, avere la certezza che comunque la democrazia fosse lo strumento migliore che l’oligarchia ateniese sfruttava per raggiungere i propri scopi, vale a dire mantenere il potere e la ricchezza. Il suo maestro, Platone, fu del resto apertamente antidemocratico, ma fiorì quando ormai Sparta controllava Atene dopo la Guerra del Peloponneso e il suo modello educativo è una variante di quello spartano trasfigurato, per l’élite, in un percorso votato alla ricerca filosofica del Bene.

Nel secolo IV con l’avvento delle grandi scuole come l’Accademia, il Liceo e la scuola di Isocrate, nate le prime due anche in contrapposizione ai Sofisti, sono sempre le élite il soggetto educativo prediletto e ormai la “democrazia” è un reperto del passato.

Tuttavia la finalità dell’uomo perfetto – il modello della formazione ellenica – il kalòs kaì agathòs, l’uomo bello e buono, cioè l’Ottimo, restò l’essenza e il prerequisito di ogni percorso militare, filosofico, scientifico determinatosi con le grandi scuole. Aristofane, in piena età periclea e postpericlea, nutrì una nostalgia pungente per il vecchio mondo ormai decaduto, e ironizzava su di esso per smascherare le nuove generazioni di educatori, Socrate compreso, corrotte e corruttrici dei giovani.

Ora nel nostro tempo continuare a chiamare l’educazione Paideia sarebbe perlomeno gustoso, anche se tra i Greci e noi ci sono state, dai Romani alla Chiesa e da Comenio a Pestalozzi, visioni pedagogiche conservatrici di contro ad altre spesso al limite dell’utopia.

Di fatto l’educazione compete a due istituzioni antropologiche contradditorie e abilitate: alla domesticazione, vale a dire il fenomeno per il quale il Soggetto Collettivo, impone il proprio linguaggio e il proprio anonimo non-senso all’individuo, non appena questi sporge il suo sguardo sul mondo. Tali istituzioni sono la famiglia e la scuola.

La famiglia è il risultato di un immaginario storico, culturale, religioso, sociale, giuridico il cui fondamento, ad un’analisi distaccata appare inconsistente. Inconsistente perché, non esistendo una entità strutturata secondo istituzioni precise, quanto piuttosto abitudini finanche abbastanza “strane” come la “natura”, è altresì impossibile che ci si possa appellare ad alcunché di “naturale”, come l’aggregazione familiare e le sue implicazioni socioantropologiche.

La scuola, è il riflesso del kosmos, cioè del sistema, in verità l’armatura del Soggetto Collettivo.

L’una e l’altra hanno una pretesa contraddittoria: intendono insegnare l’educazione. (Attenzione: “insegnare l’educazione” è una espressione infelice ed inesatta, tuttavia se si fraintende l’educazione come ciò che essa non è, vale a dire conformarsi al buon costume e alle buone abitudini, allora l’espressione di cui sopra può essere momentaneamente tollerata).

Ma veniamo subito alla nostra contraddizione. Primo: non si possono imparare due cose contraddittorie, pena la follia. Infatti In-signare significa segnare, scrivere, ficcare dentro – la testa, suppongo; mentre e-ducare, da ex-ducere, significa tirare fuori. La domesticazione è un insegnare, ma vorrebbe forse intendersi come un educare.

Educare a cosa se non a sé stessi, visto che si tratta di un trar fuori ciò che si è e non un in-scrivere dentro il cervello?

Come può lo Schiavo nato venire fuori dalla Caverna ed essere un Uomo?

Come può Dante trovare sé stesso se non trae da sé tutto l’inferno e il processo di purificazione che lo renderà Uomo?

Paideia cosa non significherebbe se non realizzare sé da sé stessi, tutto il contrario dell’essere ingabbiato e crocifisso da un ruolo che il Soggetto Collettivo ha stabilito per te: femmina, maschio, figlia, figlio, madre, padre, lavoratore, pensionato, disoccupato, parassita, criminale, pazzo, magistrato, avvocato, ragioniere, giornalista, professore, attore, regista, astronauta, calciatore, pornostar?

Un Aristofane dei giorni nostri avrebbe l’armatura e il ronzino di Don Chisciotte – quegli che sa di sapere chi è. Ma noi, oggi, votati al Soggetto Collettivo, diserotizzati e ibridati ad una tecnosfera che pensa e parla per noi, con quale Paideia ci confrontiamo?

Non appunto una educazione all’essere ciò che siamo, persone, individualità alla scoperta erotica del nostro centro, ma una domesticazione funzionale, una schiavizzazione pianificata, in cui corpo e spirito sono proprietà della Bestia, il cui unico terrore è che corpi e spirito si risveglino a la facciano semplicemente sparire, sparendo il sogno che l’alimenta.

Ogni individuo si confronta con la sua Bestia. Mosè aveva gli egiziani, Aristofane aveva la sua Atene “moderna”, Gesù i mercanti nel tempio, Lutero la Chiesa cattolica, Buddha i brahmani, e questi non sono che gli esempi più gettonati.

Ma ognuno ha la sua Bestia e la paura che lo lega, anzi lo re-liga ad essa.

La cosiddetta “istruzione”, la scuola, la paideia insomma, di ogni ordine e grado non assolve al compito di liberare la personalità, ma di ingabbiarla e renderla docile.

Da qui la nostra “società” psicotica, scissa, disperata – individui e gruppi completamente alienati e angosciati, incapaci di pensare e agire, in preda a impulsi violenti improvvisi quanto meccanici, perché pensati e agiti in funzione di un Soggetto Collettivo sclerotico e nichilista. E ciò vale per i seguaci del Soggetto Collettivo.

Laddove una nuova paideia riuscisse però a risvegliare gli individui dal loro sonno e donare loro il canto di ciò che essi stessi già sono, allora il territorio di Utopia non avrebbe altro luogo che il cuore delle persone e lì, solo lì, l’utopia sarebbe realizzata. Aspettiamo notizie.

 

 

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