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Micaela De Grandi: l’eroismo inevitabile

Micaela De Grandi come hai iniziato a fare l’attrice?

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Quinta elementare: la mia mitica Maestra organizzò la recita di fine anno (“Vanni lupu” di Nino Martoglio) con tanto di costumi, scene, prove, musiche e canzoni dal vivo. Un’operazione complessa che coinvolse anche le famiglie di tutti gli alunni. Fu talmente trascinante che, col senno di poi, non posso che far risalire ad allora la mia passione per il Teatro… ricordo ancora oggi le battute e le canzoni!

Successivamente da adolescente, soprattutto per timidezza, questa passione è rimasta latente per venir fuori poi all’età di 19 anni quando, d’un tratto, mi sono detta: “io voglio fare Teatro”.

Allora ho iniziato con alcune associazioni di Siracusa, mia città natale, ad approcciarmi alla dizione e alle recitazione e a collaborare con varie realtà locali fino a quando nel 2003 ho frequentato un corso per Attori indetto dall’Accademia d’Arte Drammatica“Silvio d’Amico” di Roma ed ho cominciato la carriera di attrice con registi come Leo Muscato e Mario Missiroli. Ho partecipato a diversi stages e laboratori con Laura Curino, Massimo Munaro, Mimmo Cuticchio, Giancarlo Sepe, Alvaro Piccardi. Nel 2004 ho preso parte alle Rappresentazioni Classiche di Siracusa in “Medea” per la regia di Peter Stein, in “Le donne in assemblea” di Luciano Colavero e successivamente ne “I sette contro Tebe” di J.P. Vincent e nelle “Trachinie” di Walter Pagliaro.  Ho studiato voce e canto lirico e a Roma ho approfondito gli studi sul Metodo Strasberg.  A Palermo ho lavorato al Teatro Libero in vari spettacoli, collaboro col Teatro Lelio e col Teatro Al Massimo.

 

Nel 2014 ho costituito a Catania insieme all’amica e collega Valentina Ferrante, l’associazione Banned Theatre. La mia prima regia (insieme alla Ferrante) risale al 2015 con “Segni di mani femminili” rappresentato per il progetto I-Art e vincitore del Premio Nazionale “Gradimento del pubblico” della Città di Leonforte.

Successivamente la “ditta” Ferrante/De Grandi ha curato la regia di “Lysistrata”, de “Le Nuvole” e de “La festa delle donne” andati in scena al Teatro Antico di Segesta per le Dionisiache 2016, 2017 e 2018 e nel 2017 ho scritto e diretto (sempre a 4 mani) lo spettacolo “Studio per CARNE DA MACELLO” in coproduzione con il Teatro Stabile di Catania.

 

Che cos’è il teatro?

Bella domanda! Il Teatro che mi piace è un teatro di pancia. Ragionato “sulla carta”, sviscerato negli argomenti per evitare le possibili trappole della retorica, con una linea comunicativa delineata ma che poi si sviluppa con gli attori, qui e ora con ciò che accade sulla scena grazie all’improvvisazione e all’energia creativa che nasce di volta in volta.

Un teatro che non deve spiegare tutto, ma che fa ragionare e partecipare. Un teatro fatto da artisti che sposano un’idea e un progetto e lo portano fino in fondo. Senza censure creative.

Il teatro è comunione per chi lo fa e per chi ne fruisce: un evento collettivo.

E Banned Theatre sposa in toto questa “mission” in quanto siamo impegnati nella scrittura, nell’allestimento, nell’organizzazione e di conseguenza ogni spettacolo è come un figlio.

Sono tempi molto duri e purtroppo non ci sono politiche serie che sostengono e promuovono le compagnie (noi non abbiamo nemmeno una sede per le prove!) e ogni progetto è una sfida ma il Sacro Fuoco del Teatro non può essere spento da venti variabili e a tal proposito il nostro prossimo lavoro potrebbe avere proprio a che fare col Mito del Fuoco e della Conoscenza … ci stiamo lavorando.

 

Come fa un attore a vivere nel mondo reale?

Un attore vive nel mondo reale come tutti: alle volte è più avvantaggiato perché grazie alla sua creatività o abilità nel trovare soluzioni sul palcoscenico, riesce a farlo anche nella vita, altre volte “soffre” perché si fa carico emotivamente di ciò che gli accade intorno, ma anche questo è utile alla crescita come attori (oltre che come persone) per andare più in profondità nello studio dei personaggi e far vivere davvero ciò che accade in scena.

Come diceva il grandissimo Eduardo: “Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male”.

Alcuni dicono che non si può essere attori e contemporaneamente registi del proprio spettacolo cosa ne pensi?

E’ vero, è molto complesso stare “dentro e fuori” in uno spettacolo ma non è impossibile. Al momento le mie sono state co-regie, perché con la Ferrante siamo una vera e propria ditta (aggiungerei una delle poche femminili in Italia!) e quindi riusciamo ad organizzarci per “guardare da fuori” a turno perché l’occhio esterno è fondamentale durante la creazione. Poi ci confrontiamo molto e si sa, due donne che si confrontano possono anche farlo per ore o per giorni! Scherzi a parte, questo “metodo” che abbiamo sperimentato è molto costruttivo per quanto mi riguarda, anche per quanto concerne la scrittura devo dire, perché spesso il problema degli attori/autori è quello di crogiolarsi un po’ troppo su se stessi, invece così ognuna di noi è l’advocatus diavoli per l’altra e in questo modo cerchiamo di ovviare alle varie insidie che possono nascere durante la scrittura ma anche durante la messinscena.

 

Riesci sempre a cogliere la vision del regista o c’è una sorta di contrattazione?

Quando non sono io la regista preferisco fare solo l’attrice ed affidarmi alla vision del regista con cui sto lavorando a meno che non mi venga chiesto espressamente di “andare oltre” perché un attore, è giusto che faccia le sue proposte di interpretazione ma l’idea, ciò che si vuole comunicare e la messinscena nel suo complesso attengono alla Responsabilità Artistica (le maiuscole sono d’obbligo proprio perché il Teatro è in grado di mutare le coscienze…) che ogni regista deve assumersi. Poi è anche una questione di fiducia che si ripone nelle persone con cui si lavora.

C’è differenza tra l’attore e il personaggio che si interpreta? O si diventa la stessa cosa?

Si diventa la stessa cosa sul palcoscenico: cioè io spettatore non vedo più l’attore che fa il personaggio ma credo che quel personaggio esista realmente qui e ora. Al contrario, chi fa sempre sé stesso e non va a fondo nella ricerca del personaggio da interpretare, alla lunga mi annoia mortalmente. Poi capita che l’attore si porti il personaggio anche nella vita reale, allora si assiste a quel fastidioso modo che hanno in molti di “atteggiarsi da attore” appunto.

Riesci a fare più ruoli in contemporanea? Se sì questo ti mette a disagio o riesci perfettamente ad essere più persone in diversi lavori?

Capita spesso di dover fare ruoli diversi nello stesso spettacolo soprattutto in compagnie come la nostra dove le possibilità economiche sono ridotte: ma non lo considero un limite anzi! Sono convinta che quando si hanno poche risorse si riescono a tirare fuori più idee e si dà libero sfogo alla creatività pura. Uno spettacolo che è costato molto in fase produttiva non è sinonimo di qualità dello stesso anzi alle volte è proprio il contrario! E purtroppo di questi esempi ne è piena la storia dei teatri stabili e non solo. Quelli che vanno pagati adeguatamente sono di certo gli attori senza i quali il Teatro non esiste.

 

Ed è stato molto divertente e stimolante affrontare riscritture anche di testi classici come le commedie di Aristofane adattate per 6 o al massimo 8 attori. Davvero una bella sfida registicamente parlando ma anche come attrice in quanto ho davvero spaziato dal grottesco al tragico al comico. Una cosa che a tal proposito mi urge sottolineare è il fatto di non lasciarsi ingannare dall’apparenza fisica di un attore o di un’attrice come avviene spessissimo da parte dei registi italiani, che catalogano letteralmente per categorie fisiche: un attore può fare tutto! Vero è che ci sono attitudini più spiccate o meno ma spesso è solo una questione di tempi di lavoro che purtroppo più passano gli anni più si riducono, a discapito quindi sempre della qualità.

Poi ci sono stati momenti in cui ho fatto anche 4 spettacoli quasi contemporaneamente quindi con in testa battute e personaggi diversissimi tra loro: e allora lavoro per partizioni cerebrali! La verità è che quando sei dentro un lavoro ti lasci andare totalmente e sul palcoscenico passano tutti i dolori fisici e dell’anima: per questo per me il Teatro è un luogo sacro dove si è nudi con sé stessi e con gli altri.

Un consiglio a chi vuole fare questo “mestiere”

Non credo di poter dare consigli perché, pur avendo circa 20 anni di mestiere, ognuno deve un po’ “sbatterci la testa” come si dice, per capire veramente cosa significa fare gli attori, i sacrifici, lo studio continuo, le delusioni, le frustrazioni, le prevaricazioni, le invidie, le giornate intere passate in teatro, il non avere orari, anche le soddisfazioni per carità ma sicuramente le qualità più utili oggi per fare questo mestiere sono la perseveranza e la pazienza.

 

 

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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