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Federico Fiorenza e l’integrità infantile

I nati il 26 marzo mostrano l’innocenza, la spontaneità il candore di un bambino. Aborriscono ogni forma di complicazione eccessiva perché ricercano la soluzione più semplice. Sembrano sempre rilassati poiché aspettano l’intuizione che spesso prende forma di un piacevole senso dell’umorismo che può esprimersi in una digressione improvvisa nel corso di un discorso ufficiale. Sono piuttosto eccentrici i loro colleghi potrebbero considerarli “fuori strada”; mai però dubbiosi o incerti perché non parlano a ruota libera e col senno di poi.

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Chi è Federico Fiorenza?

La mia prima intervista! Già questo potrebbe essere un buon titolo di presentazione. Che devo dire? Di cosa potrei parlare? Non ne ho idea, ma qualcosa mi darà voce.

Una bella giornata; questa è la prerogativa, che l’uomo per sua natura desidera appena alzatosi dal letto. Chi legge, chi scrive, chi piange e chi ride, e la giornata ha già chiuso il suo corso. “Purché accada qualcosa”, questa è la mia risposta alla domanda che sarebbe seguita, qual’è il tuo prototipo di giornata?

 

Ecco, anche per il “teatro”, parola troppo grande da poter pronunciare, la mia risposta sarebbe “purché accada qualcosa”. Un inciampo, un imprevisto, una caduta, un disastroso incontro e/o evento. Magari non tutto insieme, anche se devo ammetterlo il tutto porterebbe ad una deliziosa catastrofe.

 

Nemico principale dunque, è la noia, che porta con sé torpore ed estrema spossatezza.

 

Non dovevo lavorare a teatro io, tutto fu per puro caso, per gioco. Le prime battute, le ho pronunciate nel mio paese, Leonforte, entroterra siciliano, senza sbocco sul mare. Nuova Compagnia Teatrale il Canovaccio, questo il nome della compagine amatoriale con cui gattonai in scena per la prima volta. Qui accadde qualcosa, come una spilla da balia, che pizzica sui fianchi, sentii un interesse verso questa strana forma d’espressione. Tu la cerchi la spilla da balia, ma non la trovi, mai. Meglio così rispondo io, se la trovassi la richiuderei e non pungerebbe più il mio interesse. Gioco appunto, il teatro è un gioco serio come qualcuno ha già detto, ma rimane pur sempre un gioco e chi non gioca è triste, finisce irrimediabilmente a scontrarsi contro quella fantomatica noia.

 

Da Leonforte mi sposto a Catania, e qui tutto cambia. C’è il mare, uno sbocco per aprire la mente verso nuove forme e frontiere. Accetto la sfida di una mia cara amica “sai, c’è il bando per la scuola di teatro del Teatro Stabile di Catania, ci presentiamo?”. E così fu, di nuovo per puro caso, per gioco, mi presentai spaesato e senza troppe pretese. Mi presero, mi agitarono per bene, così come si fa con una lattina di Coca e mi lasciarono andare per questa via dell’arte. Aperta la lattina, fu una grande confusione, un turbine di emozioni e di input. Il teatro era entrato nella mia esistenza di uomo come un cartellino rosso nella finale di coppa del mondo. Bene, dissi, cominciamo questa nuova partita, con una frase di mio padre: “na visazza un pezzu di pani, cco teatru tiri a campari”.

 

Lavori più importanti

Di azioni salienti, in questi primi minuti di nuova partita, ne ho avute, forse poche, forse il giusto per la mia età, non so: come portare in scena a Mosca “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov, la residenza al “Fantasio Festival” a Trento, la mie prime due tournée nazionali con “Il Giuramento” di Claudio Fava e “I sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, entrambi prodotti dal Teatro Stabile di Catania; o ancora il Globe Theatre a Roma con “Troppu trafficu ppi nenti” di Andrea Camilleri, e la collaborazione con la compagnia Banned Theatre con cui ho calcato le scene dei teatri greci più belli della Sicilia e del Lazio, con diversi titoli di Aristofane.

 

Tre gli incontri umani e artistici, che hanno in qualche modo dato uno scossone alla mia vita da teatrante. Non sono nomi mediatici o nazionali. Sono Sandro, Michele e Valentina.

Sandro, amico, regista della compagnia del mio paese, devo a lui l’apertura della spilla da balia. Con lui ho portato in scena la mia prima creatura, il mio primo scritto, “In balia di un attimo” dove si da voce a storie di lavoratori, a vite che possono subire l’imprevisto, cambiando direzione, a uomini che cadono e si rialzano, dubitano e si arrendono, che lottano e talvolta vincono.

Michele, amico, un mio collega di corso, un teatrante anche lui, cantautore. Fu lui che mi spinse a scrivere per la prima volta. Io non ho mai scritto – gli dicevo – e lui “scrivi, scrivi, scrivi”. In meno di 20 giorni scrissi oltre 40 pagine di un testo che forse non verrà mai rappresentato.

E adesso veniamo a Valentina, attrice, regista, scrittice. È la mia compagna nella vita. La persona che più si abbina alla mia follia creativa. Con lei ho da pochissimo creato il marchio Quasiteatro, che ha debuttato al Roma Fringe Festival 2019, con il “quasispettacolo” LA NEBBIA [follia del gregge]. Creatura strana, folle, impulsiva e acida al punto giusto. Si parla dei limiti della mente umana e degli orrori che questi comportano.

 

La mission  

Perchè scrivo? Anche a questa domanda non credo di poter rispondere in modo esaustivo. Sin da ragazzino ascoltavo De Andrè, Gaber e Jannacci, immagino che la responsabilità sia delle loro parole. È un’esigenza, una premura verso la vita, vorrei poter dare voce agli ultimi, agli emarginati, agli stolti e colpire i potenti, le lobby e i prepotenti.

 

Amo i dialetti, li reputo fondamentali per il teatro e per i teatranti. Amo il mio di dialetto, che restituisce a quello che scrivo la verità intrinseca delle parole stesse. L’attore, per mio modesto parere, dovrebbe partire da quello e poi pulire.

Non considero, questa, un’intervista, non ho ancora fatto nulla. È un punto di partenza, sto iniziando a  giocare in questo meraviglioso mondo. Lasciatemi giocare. Progetti futuri? Leggere, scrivere, studiare ed osservare il mondo.

 

Che cos’è il teatro?

Non oso rispondere, non saprei rispondere, forse non vale la pena neanche porsi la domanda. Chissà, magari un giorno potrò scoprirlo. Il teatro non si spiega, si fa. Questa è la mia risposta. Si fa con la fantasia e la spensieratezza del bimbo e con la saggezza del novantenne. Sono ancora molto lontano dal connubio di questi due estremi. Imparerò.

 

 

Consiglio astrale: i nati il 26 marzo sono governati da Saturno vengono considerati poco espansivi ma niente di più falso perché hanno un cuore tenero. Si sentono infatti responsabili per gli altri anche se l’imprevedibile spontaneità di Marte a volte li fa uscire dal seminato. Il numero 8 (2+6) li porta ad essere un po’rinunciatari o ad accontentarsi di poco nonostante il talento spontaneo che possiedono. Quindi avanti a tutta forza…senza dimenticare lo stupore stuporoso del puer aeternus che vi pervade

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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