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La Scortecata ovvero le Vie Invereconde dell’Immaginazione

CATANIA – La prima volta che ho incontrato Giambattista Basile, grande novelliere napoletano del 1600, ne rimasi folgorata per la ricchezza del linguaggio, dell’ingegno e della fantasia immaginativa barocca che evocava nelle sue meravigliose e orrorifiche favole.

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Nei secoli successivi tutti i più grandi scrittori di favole che ancora oggi conosciamo, i fratelli Grimm, Perrault e via dicendo, che hanno corteggiato e affabulato i nostri sogni di bambini e che ancora noi trasmettiamo ai nostri figli come favole della buonanotte, ignari che dietro i messaggi di buonismo imperante e lieto fine, colpa ne hanno anche i gloriosi film di Walt Disney, ci siano invece messaggi antichi di violenze inimmaginabili, di crimini perpetrati e di paure ancestrali che vengono trasmessi direttamente al nostro inconscio sistemati chissà da qualche parte nelle pieghe evolutive dell’anima incarnata.

E ci sono ed esistono ancora una volta incastrati e perpetrati i comportamenti gli usi e i costumi sociali della nostra società: ovvero i valori e le Vie dell’Immaginazione trasmesse da un irrinunciabile “immaginario inconscio collettivo, come direbbe il nostro buon Gustave Jung. Lo psicologo, quello dei sogni. Ah! Le favole così innocenti e così devastanti nel creare aspettative mirabolanti altrettanto disilluse da fatti contrastanti della nostra realtà quotidiana!

 

Nello spettacolo di Emma Dante palermitana di origine, ma in questo caso portatrice sana della ricchezza intellettuale del Regno delle due Sicilie, c’è tutto il necessario per incantare lo spettatore ignaro di cotanta cultura e ricchezza intellettuale. La Scortecata interpretata, come si usava fare nel teatro seicentesco, da due uomini, due fantastici attori, napoletani, Carmine Maringola e Salvatore D’Onofrio: due vecchie sedute una di fronte all’altra, svestite con corsetteria femminile sgarupata, che scuotono il mignolo in bocca, deformandosi la faccia, evocando chissà quale fase freudiana orale, il “ciuccio” da succhiare e da dimostrare “succhiato”, ripulito liscio e ringiovanito, sede della suzione bene accudita.

Carolina la più giovane dice «Mi fa schifo, mi viene da vomitare!» e Rusinella, la più vecchia, la incoraggia, «Succhia Carolina, non ti lamentare, deve diventare liscio come il dito di un bambino! E poi così hai il Re da sposare».

La storia è presto detta due vecchie centenarie, e gli uomini e le donne a quell’età diventiamo simili, decidono di conquistare il re che fantomaticamente abita sopra la loro catapecchia. ll Re di Roccaforte s’innamora della voce di una delle due vecchie e, ingannato dal “dito” che viene succhiato meglio, (vince chi la notte lo fa riposare nel luogo in cui “non batte il Sole de dietro”) la fa dormire con lui. Poi, lo favoloso Re, accortosi delle pellacce raggrinzite, dopo un selvaggio rapporto “al buio” condito da un “mambo italiano”, nella versione teatrale della Dante, la fa gettare dalla finestra e, quella, rimasta appesa a un albero, incontra una fata che la fa diventare una bellissima ragazza e quindi Lo Re se la prende in moglie.

L’altra sorella, invidiosa della sua fortuna, per farsi bella, si fa scorticare viva e muore. Ma prima di morire dice, nel riadattamento, di Emma Dante, dice:  “Ma per essere sicura, morire per morire vecchia per come sono, meglio scorticarmi così la pelle giovane esce e vediamo cosa succede…”

Emma Dante per aumentare il pathos e la voluttà erotica tra le sorelle nel loro sodalizio immaginario fa interpretare il Re, la Fata e il Barbiere scorticatore ora all’una ora all’altra sorella giocando al “come se…” (uno stralcio del metatetatro genetiano) tra piccole bambine completamente rinfaciullite, aiutate da un sé ausiliario come se fossero reduci da uno psicodramma moreniano.

Ma ancora una volta l’italiano ripulito non può rendere l’aneddotica narrativa distopica di Giambattista Basile nel suo vernacolare e complesso linguaggio e la genialità di Emma Dante sta nel rischio di lasciare il loro bitorzoluto linguaggio che “coraggiosamente” riportiamo, come umile stralcio dello mirabile spettacolo,  nella descrizione della vecchiezza impudica delle sorelle:

“Le quale avevano le zervole scigliate e ’ngrifate, la fronte ’ncrespata e vrognolosa, le ciglia storcigliate e restolose, le parpetole chiantute ed a pennericolo, l’uocchie guize e scalcagnate, la faccie gialloteca ed arrappata, la vocca squacquarata e storcellata e, ’nsomma, la varvea d’annecchia, lo pietto peluso, le spalle co la contrapanzetta, le braccia arronchiate, le gamme sciancate e scioffate e li piede a crocco”.

Insomma erano sicuramente pronte per il chirurgo estetico in voga per tornare alla loro freschezza virginale.

 

Qual è la morale?

Bella ti devi fare perché così l’uomo ti deve ammirare?

Bella devi essere adesso perché così avrai successo?

Bella e giovane devi essere per beffare, il tuo Re mitologico da sposare?

Ancora una volta le favole indicano la Via dell’Immaginazione alle “fanciulle in fiore” di proustiana memoria la via della sacriFICAzione per l’uomo Re che sopra al balcone: scatarrava, sputazzava e pisciava ma che ambiva alle freschezze della “carne giovane”, dell’”unica carne giovane” partendo dal “mignolo curato e succhiato” (magari abbinato con le protesi delle nuove unghie osè) che da sotto agognava e cantava con voce suadente e fresca richiamando la vecchia modalità dell’esca e della tresca.

Ancora una volta o c’era una volta Emma Dante fa centro con la sua affabulazione e con la scelta della storia e degli attori che non piacciono a nessuno degli spettatori che vanno a teatro per sentirsi rassicurati del loro ruolo di educatori morali presso la società dove operano i loro valori morali e culturali omologati da chissà quale autorità che spesso sconoscono.

Si dice in gergo “psicologico” che se non capisci le regole del gioco a cui stai giocando (e per gioco si intende le regole della vita sociale dove vivi) vuol dire che questo non è il tuo gioco e stai giocando quello di qualcun altro.

E ognuno succhia il “dito mignolo” che vuole, quello suo o quello di qualcun altro. Per renderlo liscio agevole allo scopo di renderlo utile per sé stessi e per l’umanità. Che in quel momento impera o chissà!

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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