Un linguaggio in codice per ‘ordinare’ la droga. Così il noto ristoratore palermitano, Mario Di Ferro, finito oggi ai domiciliari nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Palermo su un presunto giro di droga nella Palermo bene, avrebbe concordato con i propri clienti le dosi da vendere. Lo avrebbe usato anche con l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana ed ex coordinatore di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Micciché, che non risulta, comunque, indagato. Il riferimento in questo caso sarebbe stato al numero di giorni in cui l’azzurro si sarebbe dovuto recare fuori sede. “A svelare il vero significato delle ‘partenze’ di Miccichè, alcune delle quali reali ma costituenti, comunque, anche il pretesto degli ordinativi di stupefacente – si legge nell’ordinanza con cui il gip ha disposto misure cautelari per sei persone, tra cui lo chef -, hanno concorso la apparente illogicità di alcune risposte dell’indagato di Ferro”.
“Ma quanti giorni sono?” chiedeva Di Ferro e Micciché rispondeva: “va bè, uno po… che cazzo ne so poi io… tu… esagera”. In altre conversazioni che avevano a oggetto presunti viaggi, invece, sarebbe stato lo stesso politico a mostrarsi all’oscuro della sua partenza. “Quanti giorni ti fermi fuori? chiedeva Di Ferro, provocando l’immediata risposta di Miccichè: “Dove?”. Dopo le telefonate con il politico il ristoratore avrebbe chiamato i suoi due fornitori di cocaina, indicati con il nome in codice “il rappresentante”. “Telefonate – si legge nell’ordinanza a cui ha sempre fatto seguito l’immediato approvvigionamento di stupefacente destinato a Miccichè”. Lo scorso 3 marzo in un’altra conversazione tra i due. Di Ferro, che si trovava in montagna a Piano Battaglia, commentava l’abbondanza di neve, dando appuntamento all’azzurro per l’indomani. “Ci vediamo domani, ora ti mando una bella foto di dove sono per ora… è pieno di neve qua. Pieno zeppo”. E Miccichè rispondeva: “anche a casa mia? Hai notizie anche a casa mia? No?”.”Evidentemente alludendo alla possibilità di ricevere alcune dosi di ‘neve’, ossia di cocaina, dopo averle insistentemente richieste a Di Ferro (“mangio da te? mangio da te?”)”, si legge nell’ordinanza.
“Spregiudicatezza” nelle condotte e una “sostanziale indifferenza alle prescrizioni ordinamentali”. A sottolinearli nell’ordinanza con cui ha disposto sei misure cautelari a carico di altrettanti indagati nell’ambito di un’inchiesta su un presunto giro di droga tra la ‘Palermo bene’, coordinata dalla Procura del capoluogo siciliano, è il gip Antonella Consiglio, riferendosi allo chef Mario Di Ferro. Il gestore del ristorante Villa Zito è finito oggi ai domiciliari con l’accusa di aver procurato e ceduto cocaina, tra gli altri, all’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè, che, però, non è indagato. Lo scorso 4 aprile il noto ristoratore era arrestato in flagranza per la cessione di tre grammi di cocaina a un funzionario dell’Ars. “Eloquente” per il gip è il contenuto delle conversazioni telefoniche registrate nei giorni successivi, quando gli furono revocati i domiciliari ed, essendo sottoposto solo all’obbligo di firma e di soggiorno nel comune di Palermo, era tornato a comunicare.
“Nel corso di parecchi dialoghi intercettati – si legge nell’ordinanza -, Di Ferro si esprimeva senza alcuna autocensura circa la sua colpevolezza, ammettendo in più occasioni non solo di aver commesso quanto a lui contestato il 4 aprile (giorno dell’arresto, ndr), ma di essersi adoperato più volte e già da diversi anni per procurare sostanza stupefacente a terzi soggetti”. “Ho fatto una cazzata! È vero! ho fatto una cazzata da… spacciatore? Lo sanno tutti… che min… volete, ma vaff…”, diceva parlando al telefono. Ammissioni che le cimici degli investigatori registrano poco dopo in un altro dialogo telefonico, questa volta con il figlio. “Che vuoi? Alla fine, guarda, ti giuro è una minchiata, infatti il giudice mi ha liberato subito, subito mi ha liberato il giudice. E’ stata una cosa fatta ingenuamente bè l’ho fatta e va bene… che è la prima volta che l’ho fatta?”.
Parole che avevano provocato la dura reazione del figlio. “Io ti sto dicendo che ‘ste cose lo sai quanto mi fanno schifo e solo tu sei così coglione da poter fare un favore a della gente ancora più merda di non so che cosa, perché ovviamente i politici sono la merda per eccellenza – diceva al padre -. Perché é una grandissima cazzata questa. Tu tu ti definisci intelligente furbo e poi – prosegue lo sfogo amaro finito nel provvedimento del gip – fai delle cose così stupide come questa e non solo”. E Di Ferro ribatteva: “Sono nato per servire… mi hanno liberato? Poi ci sarà il processo e non farò neanche un giorno di galera, non farò un cazzo”.
“Ne consegue un giudizio estremamente negativo sulla personalità del Di Ferro che, se da un lato sminuisce, al telefono, il disvalore delle sue condotte, dall’altro, sembra esserne orgoglioso – scrive il gip nell’ordinanza -. Egli, senza mostrare alcuna resipiscenza, manifesta comunque una visione ottimistica delle sue prospettive processuali, il chè fa ritenere fondato un giudizio di assoluta inaffidabilità del Di ferro e concreto il pericolo di special prevenzione”.