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Si può impazzire o morire per amore? L’indipendenza de “Il pirata” di Vincenzo Bellini

CATANIA – È andato in scena il 23 settembre scorso Il Pirata di Vincenzo Bellini al Teatro Massimo di Catania. Il Pirata ha allietato il pubblico catanese come nel 1827 conquistò il pubblico milanese sempre ansioso di novità. Scenografie austere ma di grande dinamicità hanno accompagnato la trama esplicitamente romantica per il melodramma italiano dell’epoca, tra tempeste e ineluttabili profezie, nonché l’appassionata intensità delle melodie, al punto che a Bellini si attribuì la volontà di fondare una nuova scuola, scostandosi dal modello dominante di Gioachino Rossini, anche se con questi e con Gaetano Donizetti sono i tre massimi rappresentanti italiani della tradizione romantica del bel canto. La predominante scelta registica nei confronti del coro che si presenta come il movimento di un’unica massa a dare la sensazione di un solo personaggio intento ad elevare i sentimenti dei solisti in maniera altisonante: infatti l’autore inserì poche arie per solisti, realizzando un vero tripudio di duetti, terzetti, quintetti, spesso sostenuti dal coro, dove ognuno racconta la propria ragione, la propria sventura, il proprio dolore.

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Imogene, sposa del duca Ernesto signore di Caldora, ma innamorata di un altro, parla della sua “inconsolabil vita” a causa di colui che doveva essere il suo uomo: il Pirata Gualtiero, tornato per colei che, dopo 10 anni di esilio, ancora è la sola che occupa il suo cuore, ma ormai lei è sposata col suo rivale, il ricco e potente duca.

Il pirata prova quindi a convincere Imogene a scappare con lui, ma lei da buona moglie e madre desiste, e quando Ernesto li sorprende in giardino Gualtiero decide di sfidare a duello il duca, lo uccide ma decide di consegnarsi alle autorità di Caldora, che lo condannano a morte. La povera Imogene in un sol colpo non ha più suo marito e l’uomo che ha sempre amato, arrivando a perdere il lume della ragione: si era innamorata di un uomo che non poteva avere, si era condannata moglie di un uomo che non amava. Non aveva avuto voce in capitolo sulla sua sorte, si era consegnata ad Ernesto perché il padre era in suo potere. Il coro consola, il coro assiste, il coro inveisce e alla fine, cerca di difendere l’unica vera vittima di questa tragedia, l’ignaro e innocente figlio di Imogene ed Ernesto.

Ma la trama è troppo esile per non voler dire qualcos’altro. Facciamo un salto nel 1827, il 27 ottobre Il Pirata vede la sua prima apparizione alla Scala: tre mesi prima a Londra si firmava un trattato dove le tre potenze, Inghilterra, Francia e Russia di fatto costringevano l’impero ottomano a concedere l’indipendenza alla Grecia, dopo una guerra che durava da sei anni, a delle condizioni che il sultano non accettò e non firmò il trattato. Per cui inglesi, francesi e russi per andare in aiuto della Grecia sconfissero la flotta ottomana ed egiziana guidata da Ibrahim Pascià, in una spettacolare battaglia navale che, per forza di cose, fece nascere a tutti gli effetti uno stato greco indipendente. La battaglia si svolse a Navarino, piccola cittadina costiera del Peloponneso,  il 20 ottobre 1827 appena una settimana antecedente alla prima del Pirata.

Le opere teatrali e liriche sono state spesso usate per comunicare altro rispetto a quello che rappresentavano. Proviamo a traslare nelle figure simboliche dei personaggi, ciò che in realtà veniva comunicato agli spettatori, che dovevano essere informati di quello che stava avvenendo: Imogene sta in Sicilia e potrebbe equivalere alla Grecia, Ernesto di origine francese, duca D’angiò, personifica la Francia quindi l’alleanza, il pirata è un aragonese, uno spagnolo, e benché la Spagna non fosse coinvolta ne erano noti i corsari, a rappresentanza di quel mondo arabo od ottomano abili nel navigare come nel depredare. Bellini, tramite il libretto di Felice Romani, astrae quindi l’attualità politica e la mette in musica, mostra nel bisogno di indipendenza della protagonista la voglia di libertà di un popolo fiero, conteso dalle due sponde del mediterraneo per la sua posizione geografica favorevole agli scambi commerciali tra Europa e Asia. Ed è impossibile pensare che nei tre mesi precedenti sia il librettista Romani che lo stesso Bellini potessero essere avulsi da questi sconvolgimenti, non all’epoca e sicuramente non nell’ambiente intellettuale che Bellini frequentava. E così il regista Anfuso e il maestro d’orchestra Ortega ci portano in questa storia d’indipendenza e bramosia che sotto il mantello della musica leggiadra e delle avventure romantiche, nasconde il dolore per l’impotenza dei popoli che non possono essere artefici del proprio destino.

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