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“I morti non muoiono ” di Jim Jarmusch

Il dettaglio della camera a seguire la macchina della polizia: il cartello di benvenuto della città, la ditta di pompe funebri, la prigione, il motel… bastano pochi affreschi per dare la pennellata di assoluta classe, quella di Jim Jarmusch. Siamo in una piccola comunità, Centerville, che potrebbe ricordare Twin Peaks, anzi, direi che le ambientazioni sono molto simili (il caffè nero, i “diner”, la comunità amena, ecc). L’atmosfera è surreale, lynchiana, densa di humor nero, à la Kaurismaki. La comunità di Centerville si regge sulla consuetudine dei rapporti e sulle lente e consolidate abitudini dei suoi abitanti. Un giorno però, accade qualcosa: la rotazione dell’asse terrestre crea uno squilibrio fra i poli e le vibrazioni lunari tossiche producono il risveglio dei morti che prendono a terrorizzare le notti della piccola cittadina. A contemplare le sorti amare di Centerville, come una sorta di cantore esterno e di voce fuori dalla narrazione, è un vagabondo hippie (Tom Waits) che sciorina perle di saggezza sui fatti sconcertanti che cominciano ad accadere: “Il mondo è perfetto. Apprezza i dettagli”. E’ una sorta di Zarathustra che ha abbandonato la comunità e vive immerso nei boschi circostanti, parlando con gli insetti e gli animali (nelle sue perlustrazioni ha modo di trovare una copia del “Moby Dick” di Melville). La fuga degli animali domestici rappresenta il segnale dell’avvento di una sorta di apocalisse locale gestita dalla nuova titolare dell’impresa di pompe funebri, che si rivelerà poi essere un’aliena (Tilda Swinton). Così nella prima sera del risveglio dei morti, abbiamo modo di assistere all’esilarante scena dei due zombie in cerca di caffè (con Iggy Pop a fare lo zombie). La scena del mattino seguente presenta i due primi cadaveri e le reazioni surreali dei tre poliziotti locali. Qui Jarmusch usa uno dei suoi leitmotiv, ovvero la forza iterativa dei suoi dialoghi; in questo caso la ripetizione ossessiva di: “è stata una Bestia selvatica? Diverse bestie selvatiche?”, oppure di: “uccidi la testa”, che a furia di essere ripetute dai vari personaggi del film finiscono col suscitare risate che vellicano il cervelletto. Gli zombie ripetono le stesse cose che facevano in vita, vanno in cerca di wi-fi con gli iPhone, dei propri hobby, dei generi di consumo, degli antidepresssivi, e man mano che i poliziotti procedono nella loro indagine cominciano a riconoscere i morti e a discutere con loro, per una sorta di aberrante “Antologia di Spoon River”. L’aplomb della recitazione di Bill Murray e co. e il tono dei dialoghi rappresentano la vera linfa de “I morti non muoiono”, che presenta vari gioielli sparsi, come quello del cortocircuito tra copione e narrazione: “come fai a sapere sempre tutto prima?”. “Vuoi saperlo? Ho letto il copione”. Il commento di “Zarathustra” sugli “indicibili tormenti dei mortali” durante il massacro finale di zombie e poliziotti, cala come una mannaia sulle ultime scene. “Cenere alla cenere polvere alla polvere. Oggi i morti non vogliono morire. La fine del mondo. Io credo che tutti questi fantasmi abbiamo perso la propria anima dannata devono averla venduta scambiandola con l’oro, l’autovettura, il Game Boy, il Nintendo… sempre più affamati di oggetti. Che mondo di merda”.

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