Roma, 31 gen. – Già dirigente del Pcus a Mosca all’epoca della Perestroika di Michail Gorbaciov, Boris Eltsin, nato a Svedlovsk l’1 febbraio 1931 è il primo presidente della nuova Russia uscita dalle ceneri dell’Urss. Protagonista della resistenza che stroncò il tentativo di colpo di stato nell’agosto del 1991, riesce a mantenere il potere, nonostante i suoi ripetuti scontri con il Parlamento e le sue precarie condizioni di salute, fino alla elezione di Putin alle presidenziali del 2000.
Nel giugno del 1990 aveva dichiarato la sovranità della Russia, dimettendosi dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica e il 12 giugno 1991, Eltsin venne eletto, con il 57% dei voti.Nel 1996 Boris Eltsin venne riconfermato presidente, in un paese in cui la povertà era sempre diffusa, scoppiavano focolai di guerra (come la Cecenia) e la malavita organizzata aumentava il proprio potere in tutto il territorio.
La Russia di questi anni è il paese delle riforme radicali, dello scontro istituzionale tra governo e Soviet supremo che finirà nello scontro fra lo stesso Eltsin e il parlamento. In questo periodo tumultuoso la privatizzazione e l’accelerazione del passaggio all’economia di mercato portano ad un drastico calo della produzione, da un deficit pubblico che blocca il pagamento dei salari e delle pensioni.
Eltsin beveva molto, ed era gravemente malato di cuore, il suo secondo mandato è una discesa continua. Le accuse di corruzione lo sfiorano, il potere degli «oligarchi » si sostituisce a quello dello Stato, l’economia va in tilt nel 1998, la tregua nella guerra cecena non fa dimenticare gli orrori commessi,
Nel 1999 verrà eletto Vladimir Putin, che riaprirà le ostilità in Cecenia e che grazie ad un Eltsin dimissionario diventerà popolare grazie ad programma politico semplice: ristabilire la potenza dello Stato russo.
(AdnKronos)