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Luigi Mancuso e il suo romanzo storico “La legione del Danubio” edito da Carthago

Luigi Mancuso giovanissimo scrittore ci racconta l’epoca di Traiano come se fosse vissuto tra gli antichi romani. Durante l’impero di Traiano l’Impero romano ebbe la massima estensione territoriale conquistando Armenia, Assiria e Mesopotamia, ma anche dei territori della Dacia e del regno di Nabatea. Alla sua morte lasciò una situazione prospera dell’economia imperiale, in particolare modo della parte orientale dell’Impero romano. E proprio dalla Dacia inizia il nostro romanzo.

Susanna Basile: Chi è Luigi Mancuso?
Luigi Mancuso: Sono sempre stato un grande appassionato di storia, in particolar modo di storia romana. Ho conseguito la maturità classica e frequento il secondo anno della facoltà di lettere moderne dell’università di Catania, sono anche un appassionato di teatro e sono allievo della scuola di recitazione Lucia Sardo, ho anche partecipato a un lavoro teatrale del regista Manuel Giliberti per il Festival dei Teatri in pietra, “Penelope, il grande inganno”, sul ritorno di Odisseo a Itaca. Questa mia passione mi ha portato a cimentarmi nella scrittura. Iniziai a scrivere verso le fine del liceo.

S.B.: Scrivere per vivere o vivere per scrivere?
L.M.: Per me scrivere è un modo per far tornare indietro le lancette della Storia. Osservare con gli occhi della mente una legione romana intenta a costruire un accampamento per la notte o persone comuni intente a svolgere il loro mestiere nelle botteghe della capitale sono delle sensazioni travolgenti che ti posso lasciare senza fiato.

S.B.: Romanzo storico molto complesso e rischioso. Come mai proprio questo genere?
L.M.: Ovviamente Il romanzo storico richiede una preparazione di base: l’aver ben chiara la cronologia degli eventi, i luoghi e le motivazioni che hanno permesso il compimento di un determinata imprese. Ritengo che sia importante scrivere questo tipo di narrativa, per sensibilizzare non solo chi è appassionato di storia, ma anche i neofiti che vorrebbero approcciarsi alla materia e andare oltre il semplice sapere nozionistico e attingere al cuore di un determinato evento: le emozioni umane. Cosa pensavano gli uomini di allora? Provavano paura, rabbia e amore come noi? Come vedevano la vita e il mondo che li circondava? Qual era la loro moralità? Perché facevano la guerra? Penso che siano queste le domande che un lettore dovrebbe porsi e poiché il romanzo storico ci permette di riportare in vita ciò che non c’è più, possiamo vedere quel mondo tramite gli occhi dei protagonisti coinvolti nelle vicende che hanno cambiato il mondo.

S.B.: Chi è il protagonista: Il centurione della Terza Coorte, Tito Quintilio Aurelio?
L.M.: Il centurione Aurelio è un uomo intriso dei valori della romanitas. Un codice di comportamento che gli è stato inculcato fin da bambino da suo padre Publio Quintilio, anch’egli soldato. Aurelio crede fermamente nella missione di Roma come forza in grado di illuminare il mondo, diffondendo il diritto, costruendo strade titaniche che collegano il mondo. Un mondo senza confini dove ogni popolo può sentirsi unito sotto l’egida dell’impero. Aurelio però non è un ingenuo. Sa che il processo di assimilazione di un popolo è spesso lento e sanguinoso e in alcuni casi può essere inefficace, basti vedere la tentata conquista della Germania sotto Augusto. Lui sente il peso di ogni vita strappata, ma sa che è necessario, per difendere lo Stato da tutti quei popoli che non esiterebbero a compiere nelle province dell’impero quelle stesse atrocità commesse dalle legioni.

S.B.: “Quel villaggio era la casa di intere famiglie uomini, donne e bambini che erano stati costretti ad abbandonare e distruggere il loro piccolo mondo pur di non finire nelle mani dei romani”. Erano i civili che spesso soffrivano di più per una guerra?
L.M.: Ciò che ho scritto ha una doppia chiave di lettura. Oggi come nell’antichità la guerra semina distruzione tra le popolazioni civili. I Romani in guerra erano brutali, questo non può essere messo in discussione. Se un popolo non si sottometteva avrebbe dovuto pagare subendo le terribili rappresaglie dell’esercito romano. Possiamo annoverare episodi drammatici come l’assedio della fortezza ribelle di Masada sul finire della prima guerra giudaica. Il capo dei sicarii, Eleazar ben Yair, vedendo che non c’era più speranza e per non finire nelle mani dei Romani, ordinò ai suoi uomini di uccidere le loro mogli e i figli, per poi togliersi essi stessi la vita. Flavio Giuseppe racconta di come una volta entrati a Masada, i legionari del legato Lucio Flavio Silva rimasero sbalorditi da quel gesto. I Romani non esultarono di fronte a quel suicidio di massa, anzi provarono ammirazione per il coraggio e la forza d’animo che avevano mostrato i ribelli. Allo stesso modo soffrivano i Romani, quando erano i “barbari” a vincere, come nel caso della rivolta in Britannia condotta dalla regina degli Iceni, Budicca. Lo storico Tacito ci tramanda le terribili torture inflitte ai civili nella città di Camulodunum, distrutta dalla furia delle tribù che si erano rivoltate dopo i soprusi dei funzionari corrotti mandati ad amministrare la provincia. Tuttavia questi eventi devono essere contestualizzati nell’ottica dell’epoca, in cui la vita umana era molto più breve e non aveva lo stesso valore che gli attribuiamo oggi.

S.B.: “Polibio nelle sue Istorìai: lo storico greco narrava di come tutti i governi fossero soggetti al decadimento, e, non ostante all’inizio elogiasse la stabilità di Roma e il suo sistema basato su tre sistemi di governo che mantenessero l’equilibrio dello Stato, dovette successivamente ricredersi, anche Roma sarebbe andata incontro alla sua fine naturale”. Come sapeva queste cose il nostro protagonista?
L.M.: È tutto merito del suo precettore di origini greche, Timesiteo, che fa la sua apparizione in un capitolo. Aurelio ha appreso non solo le virtù militari e civili di ogni cittadino romano, ma è anche molto colto. Si può dire che abbia ereditato un certo pessimismo dalla letteratura greca e da Polibio. Lui è consapevole del fatto che il dominio di Roma non esisterà in eterno, tuttavia si ostina a combattere per allontanare i nemici dell’impero dalle sue frontiere e ritardare il più possibile quel giorno.

S.B.: “I Germani e gli alleati di Decebalo avevano presentato all’imperatore un messaggio inciso sul puntale del fodero di una spada, veniva chiesto a Traiano di abbandonare la Dacia e andarsene al fine di mantenere la pace. Tale richiesta non fu ascoltata e presto il sangue sarebbe stato versato”. Come avvenivano queste trattative?
L.M.: L’attività diplomatica per i Romani era importantissima al fine di estendere e rafforzare la propria egemonia. In età repubblicana il destino degli ambasciatori a Roma poteva variare in base ai rapporti di alleanza o belligeranza. Se arrivava nell’Urbe il rappresentante di un regno che si era sempre mostrato un alleato fedele questi veniva accolto dentro le mura della città, riceveva i doni dell’ospitalità, mentre gli ambasciatori di regni in guerra venivano ricevuti dentro il tempio della dea Bellona, fuori dal sacro pomerium. Con la fine della repubblica e l’avvento dell’età imperiale questa pratica cessò di esistere. Nella maggior parte dei casi le trattative venivano condotte oralmente, ma le volontà potevano anche essere scritte. Nel mio romanzo ho voluto riportare l’episodio del messaggio inciso sul puntale della spada come l’aveva scritto lo storico Cassio Dione.

S.B.: Quali sono i suoi scrittori preferiti? Tra questi possiamo annoverare Valerio Massimo Manfredi?
L.M.: Sicuramente Valerio Massimo Manfredi è stato uno degli autori che ha contribuito a consolidare il mio amore per il mondo classico, ho letto la maggior parte dei suoi libri, tuttavia hanno svolto un ruolo altrettanto importante anche altri scrittori di romanzi storici come Harry Sidebottom, autore della serie “Il guerriero di Roma”, Guido Cervo, Giulio Castelli e Collen McCullogh. Ho cercato assimilare il meglio da tutti loro.

S.B.: Dalla prefazione del prof. Luigi Amato: “È ora che sorga una nuova generazione diversa dagli influencers, dalle generazione erasmus e dalle altre boiate di questa triste epoca”. Cosa ne pensa di questa nuova generazione?
L.M.: Gli usi e i costumi cambiano ed è giusto che sia così. Io sono figlio di quest’epoca, tuttavia è giusto recuperare le nostre origini per avere maggiore coscienza di ciò che siamo e dove stiamo andando.

S.B.: Ho avuto modo di leggere il suo libro e mi sembra molto credibile nelle descrizioni delle battaglie ci insegna pure l’uso delle giuste armi: quanto c’è di vero e inventato?
L.M.: Non ostante le battaglie della guerra dacica non siano trattate nel dettaglio dalle fonti dell’antichità ho descritto i vari scontri campali ispirandomi alla letteratura del periodo. Il lettore appassionato di storia non sbaglierà a trovare nel mio testo richiami alle opere di Cesare e di Arriano.

 

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