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Intervista a Giuseppe Raimondo autore del libro “Cittadini degni del Vangelo” edito da Carthago

A colloquio con Giuseppe Raimondo autore di “Cittadini degni del Vangelo” Piccolo lessico per un volto più bello della Chiesa: “Viviamo, non ce lo nascondiamo, un tempo di profonda crisi di identità e di relazione che segna negativamente anche il nostro essere Chiesa. Ecco perché siamo chiamati seriamente ad interrogarci su come viviamo il nostro essere popolo, ossia uomini che stanno insieme ad altri uomini; e su come questo nostro stare insieme riesca ancora in modo naturale a testimoniare quella carità che è prerogativa sostanziale del Dio Trinità”.

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Susanna Basile: Chi è Giuseppe Raimondo?

Giuseppe Raimondo: Mi piace definirmi un “educatore”, impegnato da qualche anno al servizio della scuola con l’arduo compito di riuscire a trasmettere qualcosa attraverso l’insegnamento della religione cattolica. La maggior parte della mia vita l’ho spesa sempre al servizio dei ragazzi, ma in ambienti di “respiro più vasto”, quali centri di aggregazione giovanile. Senza nulla togliere alla scuola, ritengo si comprenda bene il perché un “centro di aggregazione” possa essere considerato ambiente di più vasto respiro: in esso, infatti, i ragazzi, anche se nel rispetto di determinate regole, possono esprimere il meglio di sé nella spontaneità a partire da ciò che amano di più, come ad esempio il gioco. All’interno di questo contesto ho avuto la possibilità di crescere, come uomo e come cristiano, sentendo sempre più forte il desiderio di “formarmi” al fine di riuscire a dire “Dio” a questa fascia tanto delicata della nostra società.

S.B.: Perché ha scritto questo libro?

G.R.: Avendo avuto modo per anni di prestare il mio servizio presso diversi ambienti ecclesiali della Sicilia, ho conosciuto molte persone e fatto esperienze tra le più disparate. Una delle cose che non mi ha mai dato pace, in quanto cristiano impegnato, è stato il cruccio nel vedere tanti fratelli, cristianamente “validissimi”, nel migliore dei casi entrare sempre in punta di piedi e quasi “da ospiti” a Casa loro; nella peggiore delle ipotesi, invece, allontanarsi dalla Chiesa a motivo della cattiva testimonianza di altri fratelli.

Il testo nasce appunto con l’intento di tracciare un identikit del cristiano, discepolo di Cristo (prima parte); per poi metterne in evidenza alcuni aspetti in cui facilmente si corre il rischio di scivolare … quasi inconsapevolmente, recando “scandalo” … una contro testimonianza … che allontana i fratelli più fragili … e per cui è necessario una decisa conversione … un cambio di rotta … per mostrare così il volto più bello e più pulito del nostro essere Chiesa (seconda parte).

S.B.: La rubrica che tiene su MCTV “Alla scuola del Maestro – Il Vangelo di Marco”: quali sono la vision e mission?

G.R.: La rubrica nasce con lo scopo di offrire “ai più” la possibilità di conoscere la bellezza del testo evangelico, nello specifico il Vangelo di Marco. Il più delle volte catechesi di questo genere vengono sapientemente approntate dai pastori o unicamente per chi ricopre determinati ruoli all’interno degli ambienti parrocchiali, o in orari improponibili per lavoratori e casalinghe.

La mission del programma è quella di arrivare a tutti indistintamente, nel tempo migliore per ciascuno. Portare il Vangelo nelle case attraverso un linguaggio semplice ed aderente alla vita perché ciascuno possa sentire direttamente rivolta a sé la Parola di Salvezza. La vision: ci auguriamo di rendere davvero un buon servizio così da poter continuare a “dire” e “dare” Gesù, avvalendoci di questi strumenti di nuova generazione, a chi per svariati motivi non potrebbe in alcun modo prendere parte ad eventi formativi formali.

S.B.: Una parte dell’introduzione del libro su cui poter fare un primo commento: a cosa serve la “fede”? “Ogni uomo, lo sappiamo bene in quanto ne facciamo esperienza ogni giorno, vive nel corso della sua settimana una dimensione frenetica che spesso lo sottrae a qualsiasi controllo, facendogli perdere di vista ciò che più conta nella vita. Potremmo dire che egli rimane vittima non tanto dei ruoli che esercita (padre, madre, figlio, operaio, studente, eccetera), o dei compiti assunti o che gli sono stati affidati (catechista, animatore, allenatore, volontario); quanto, piuttosto, dei ritmi del tempo che incalzano, degli impegni che ti soffocano, dell’ansia delle cose incompiute che ti distrugge. Anche per noi risuonano, allora, le parole del profeta Isaia: «Va’, popolo mio, entra nelle tue stanze e chiudi la porta dietro di te»” (Is 26,20).

G.R.: Prima di dire “a cosa serve” la fede, sarebbe opportuno capire “cos’è”! Non è possibile, infatti, avvalersi di qualcosa senza prima conoscerne l’esistenza e la natura. Cosa intendiamo per fede? Mi piace guardare alla fede come all’atto con cui ci si abbandona con fiducia tra le braccia di chi si ama. Per usare le parole del salmo 131: “come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”.  significativo l’uso dell’aggettivo “svezzato”, in quanto a mio avviso indica che già il bimbo è “autonomo” nell’esercizio delle sue funzioni, ma non per questo non rimane “bimbo”, bisognoso di ricorrere alle braccia della mamma. Ebbene, in questa prospettiva, la fede è questo ricorrere con fiducia tra le braccia di Dio per ricevere da Lui accoglienza, comprensione, amore …

Come scrivo nell’introduzione oggi la vita è così frenetica che tende a fagocitarci a tal punto da toglierci ciò che più conta nella vita: le relazioni! Trovare un tempo per “riposare”, ossia per dare un senso alle cose che facciamo è salutare! La citazione del profeta Isaia allude alla capacità di trovare riparo quando infuria la tempesta. La tempesta in questione si riferisce al giudizio imminente di Dio su Babilonia, durante il quale il profeta esorta il popolo d’Israele a stare calmo e al sicuro nelle proprie abitazioni.

Tornando alla domanda iniziale … la fede ti dona quella pace del cuore nel farti sentire al sicuro anche quando attorno a te tutto dice minaccia, paura, confusione …

S.B.: Mi spiega il senso di queste parole: “È l’invito a ricavare per noi uno spazio di tempo e di luogo per ritrovare Chi, forse, abbiamo perduto di vista o scambiato; Colui che era sfuggito o si era volatilizzato. Nel far questo la preghiera è il mezzo più efficace per riportare noi dinanzi a noi stessi e squarciare la nube che ci nasconde Lui, Gesù. «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino»” (Is 55,6).

G.R.: Volentieri! É un passaggio a me tanto caro che dice “intimità”! Pocanzi accennavo al “riposo” come allo spazio necessario per ritrovare il senso delle cose che facciamo. Ebbene in questo passaggio alludo proprio alla capacità di ciascuno a ritagliare lo spazio e il tempo necessari per un “pit stop” e fare il “punto della situazione”. Sto scrivendo a dei battezzati, ossia discepoli del Cristo, e quindi è inevitabile che nel far questo ci si interroghi su Gesù. É lui il Maestro, la Via, la Meta … perderlo di vista o addirittura scambiarlo per qualcun’altro significherebbe inficiare il proprio cammino di discepoli!

Suggerisco come strumento valido nel far questo il ricorso alla preghiera, come il “locus” in cui si incontra la sete di Dio con la sete dell’uomo. Quando dico “preghiera”, infatti, non mi riferisco al far ricorso a delle “formule” in particolare! Per me la preghiera è mirabilmente espressa dall’icona evangelica che racconta dell’incontro di Gesù con la samaritana al pozzo di Sicar (Gv 4,1-42). In quell’incontro è Gesù che prende per primo la parola; soltanto in seconda battuta, come risposta potremmo dire, prende la parola la donna! Ebbene, nel pit stop della nostra vita siamo chiamati a “sintonizzarci” bene con un Dio che desidera comunicarci tutto il suo amore … la nostra sarà una consequenziale risposta a questo amore mediante un atto di affidamento.

Il richiamo ad Isaia è solo un ulteriore incoraggiamento all’uomo per ribadire che è Lui, il Signore Gesù, che si è già messo in cerca di noi e attende soltanto un cenno della nostra apertura nei suoi confronti … uno spiraglio del nostro cuore … per entrare e ricolmarci di luce, di pace, di amore …

S.B.: Qui potremmo non finire mai… “Solo nella misura in cui riusciremo a coltivare e far crescere l’incontro e la relazione col Signore Gesù, attraverso l’ascolto della sua Parola di salvezza e la condivisione della fede all’interno della comunità ecclesiale, saremo in grado di sperimentare quella conversione che, nella vita cristiana, segna ogni istante dell’esistenza, nell’incessante bisogno di ritornare e ricominciare”. Il senso di queste parole?

G.R.: Beh sì … qui ribadisco l’importanza dell’ascolto che sta alla base della preghiera, ma sta alla base anche della nostra stessa fede. La fede ci dice l’Apostolo nasce dall’ascolto della Parola. Coltivare l’ascolto della Parola è strategia vincente per nutrire la nostra fede e permetterle di crescere. Questo però senza trascurare la dimensione comunitaria. Non siamo autoreferenziali nel delicato campo della fede! Nella fede siamo stati generati all’interno di una comunità, la Chiesa; e nella Chiesa siamo chiamati a svilupparla, mediante la nostra vita sacramentale certamente, ma anche attraverso la “comunione” con i fratelli.

La “conversione” che auspico è questa capacità di “ritornare” al Signore come singoli e come comunità, cambiando il nostro modo di pensare per modificare il nostro modo di agire! E questo non è qualcosa che avviene una volta per tutte nella vita! Mai sentirsi degli arrivati! Tutti, e sottolineo “tutti”, siamo continuamente bisognosi di conversione … ecco perché parlo di “bisogno di ritornare e ricominciare”.

S.B.: La spiegazione del sottotitolo e dell’opera; un grande atto di coraggio: “Attraverso questo piccolo lessico, che parte dalla descrizione di alcuni fatti e situazioni, desidererei accompagnare il lettore a scoprire se l’impegno ecclesiale affonda ancora le sue radici nella storia e nel messaggio cristiano, interpretato come servizio, disponibilità agli altri, iniziazione alla liturgia, alla preghiera e ai sacramenti, formazione umana e cristiana, accoglienza”. Un ulteriore chiarimento?

G.R.: Lungi dal voler sembrare critico o provocatorio, il mio è appunto un “desiderio”, e quindi uno sguardo verso ciò che illumina e traccia il cammino, nel tentativo di riscoprire, e far riscoprire, la “bellezza” del volto della Chiesa … bellezza che Cristo ha meritato alla sua “sposa” a prezzo del suo sangue (Ef 5,25-27). Forse il metodo che uso potrebbe sembrare sfrontato … ma “la carità … tutto scusa” (1 Cor 13,4.7). L’esperienza mi porta a dire che quando le situazioni si incancreniscono è necessaria un’azione più decisa e mirata. Ora, tornando a tante situazioni ecclesiali, si è così “convinti di essere nel giusto” che nessuna ammonizione sortirebbe mai il suo scopo! L’agiatezza è qualcosa di molto pericoloso! La conversione di cui abbiamo parlato, invece, dice disponibilità a “mettersi in discussione”, abbandonando le proprie certezze! Per ottenere questo è necessario un “terremoto”! E questa è la vera sfida del cristianesimo oggi! La Verità è solo Lui!

 

S.B.: A questo punto scelga a piacere e in maniera sintetica tre termini “lessicali” del testo che possano essere “provocatori emozionali” per indurre le persone a comprare il libro per scoprire i propri sentimenti profondi, che non riescono a trovare spazio nella attuale società.

G.R.: Mi chiede qualcosa di difficile adesso … ogni scelta implica inevitabilmente un “taglio” di altre opzioni che, come in questo caso, ritornerebbero invece essenziali. Comunque … dovendo scegliere direi: Elitarismo, Libertinaggio, Timor di Dio.

Con Elitarismo faccio riferimento alla difficoltà con cui ci si apre alle “diversità” … la diversità dei doni dello Spirito, lungi dall’essere considerata una “ricchezza” comune, diventa – ahimè – sinonimo di contesa, rivalità, discordia.

Libertinaggio: siamo certamente grati al buon Dio per l’apertura al laicato di tanti ministeri e servizi all’interno delle nostre realtà ecclesiali. Tuttavia ogni “servizio” è e rimane comunque un “mandato” e non un’autocandidatura! Ogni “autorità” viene da Dio, ci ricorda l’Apostolo (cfr. Rm 13,1) e nessuno, in questa prospettiva, può fare, o peggio ancora strafare, a proprio piacimento, ma sempre sotto l’occhio vigile e “materno” di chi è chiamato a vigilare e custodire il gregge, i pastori.

Timor di Dio perché è un’espressione che facilmente può essere fraintesa e perché, senza presunzione, ritengo di poter dire che ad oggi è “sconosciuta” nel suo vero significato dalla maggior parte dei cristiani. La cito perché molti vivono la propria vita cristiana, inconsapevolmente, come una “schiavitù”, asserviti al “dovere”, piuttosto che nella logica dell’amore.

 

 

 

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Susanna Basile
Susanna Basilehttp://www.susannabasile.it
Susanna Basile Assistente di redazione Psicologa e sessuologa
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